Di fronte agli europarlamentari il vicepresidente della Commissione Dombrovskis ha indicato che uno “strumento permanente” come il Recovery Fund o simile non è un tabù: se la versione attuale avrà successo, cioè se i governi useranno correttamente i fondi, possono crearsi le condizioni per aprire una discussione. È una valutazione politicamente rilevante, dato che l’ex premier lettone non è mai indulgente verso le fughe in avanti: riflette l’inclinazione della Commissione europea a sperimentare vie diverse dal passato. Il commissario all’economia Gentiloni sostiene da tempo la stessa cosa e ricorda un altro fattore che gioca a favore della prospettiva di dotare quantomeno l’Eurozona di uno strumento per la stabilizzazione dell’economia: le emissioni comuni di bond per finanziare Next Generation EU (800 miliardi di euro a prezzi correnti) comporteranno effetti finanziari per un periodo di tempo molto lungo: i prestiti contratti sul mercato per circa 150 miliardi all’anno renderanno la Ue uno dei maggiori emittenti in euro; i rimborsi saranno effettuati entro il 2058. Perché ciò avvenga, a meno di aumentare i contributi degli Stati al bilancio dell’Unione che garantisce i bond di Next Generation EU, occorrerà definire imposte o prelievi europei (settore digitale, emissioni di Co2 alle frontiere, scambio quote di emissioni inquinanti, transazioni finanziarie, società). Queste sono tutte parti di una politica fiscale comune, prospettiva esecrata fino all’anno scorso da governi chiave della Ue.
Il percorso non è definito né scontato. Lo dimostra il fatto che all’ultimo Consiglio europeo in Portogallo non è passata l’idea sostenuta con molta forza, ma vanamente, dall’Italia e da altri Stati (il fronte del Sud e anche la Francia) di rendere permanente SURE, lo strumento comune di sostegno finanziario alle “casse integrazioni” nazionali: si è levato il solito fronte dei “frugali” e si è levata, con loro, la Germania. Il passaggio dall’eccezionalità di uno strumento comune temporaneo quali sono SURE e Next Generation EU a uno strumento collettivo permanente divide profondamente i governi. La Corte costituzionale tedesca ha appena bocciato un ricorso contro il Recovery Fund, riservandosi di tornare sul tema, proprio con l’argomento che si tratta di uno strumento temporaneo giustificato dalla crisi attuale. Se sarà utilizzato correttamente, se Italia e Spagna non sprecheranno l’occasione, certamente si apriranno degli spazi per un confronto futura, ma sarà una dura salita.
La cosa certa è che si stanno compiendo dei passi i cui effetti perdureranno al di là di quanto si voglia ammettere oggi. Basti pensare, appunto, al salto di qualità della Ue come emittente di titoli in euro: la sovranità strategica europea di cui tanto si parla passa di lì. E anche al fatto che appare del tutto irrazionale uno scenario in cui a un certo punto una leva di bilancio comune qual è di fatto Next Generation EU sparisca dagli strumenti di politica economica a livello europeo facendo ritornare la Bce nella solitudine di unico organismo in grado di contrastare le crisi sulla base di un mandato effettivamente federale (per l’area euro). I tempi di decisioni coraggiose – se ve ne saranno – si prospettano lunghissimi. A meno che, prima, una prossima crisi non costringa di nuovo tutti ad agire nell’emergenza.