Che le grandi idee di riforma della ‘governance’ e del livello di integrazione dell’Eurozona si fossero raffreddate lo si sapeva, però il colpo che si appresta a dare la Cdu/Csu domani al Bundestag suonerà come una piena conferma. Naturalmente, occorrerà vedere il testo finale della posizione del parlamento tedesco sulla proposta della Commissione europea di istituire un fondo monetario europeo come evoluzione dell’attuale fondo salva-stati (European Stability Mechanism). Tuttavia, la linea tracciata dal partito di Angela Merkel e dalla Csu è chiara: il futuro Fme rischia di avere un impatto finanziario sul bilancio pubblico nazionale, nulla si può fare senza cambiare il Trattato Ue, il diritto di veto tedesco va preservato, gli interventi di stabilizzazione economica devono essere condizionati al rispetto rigoroso degli impegni di riforma più o meno sul modello dei salvataggi finanziari, deve essere prevista la possibilità di ristrutturazione del debito. E poi: no a interventi in paesi i cui sistemi bancari non sono sostenibili (leggasi: hanno troppe sofferenze da smaltire). Una bocciatura a tutto campo. Così lo spazio per possibili riforme dell’unione monetaria si riduce ulteriormente. Quanto alla Spd, il ministro delle finanze Olaf Scholz non sembra schierato su posizioni molto diverse.
Mentre il Bundestag discuterà della riforma della zona euro e in particolare della proposta di istituire un Fondo monetario europeo (termine che Mario Draghi invita sempre a non usare per non creare confusione con il Fondo monetario internazionale che ha funzioni ben diverse), il presidente francese Emmanuel Macron parlerà all’Europarlamento riunito a Strasburgo. Se l’argomento più scottante è la scelta di bombardare i siti ‘chimici’ della Siria con Regno Unito e Stati Uniti, che di fatto rende più difficile se non arena i sogni di una politica estera e di difesa/sicurezza comuni nella Ue, è sulle misure per invertire davvero rotta all’Unione europea che sarà centrata una parte dell’attenzione. La questione principale, in tale contesto, è il ‘che fare’ per l’Eurozona, anzi dell’Eurozona. E su questo Macron si era fatto alfiere di una ‘grande riforma’.
Via nel corso degli ultimi mesi è stato sfogliato il carciofo, le idee più coraggiose o, almeno, avveniristiche, hanno perso quota: superministro economico della zona euro contemporaneamente commissario agli affari economici e vicepresidente della Commissione, bilancio dell’unione monetaria. Adesso è sempre più diffusa la convinzione che per i prossimi tempi del sistema unico di garanzia dei depositi bancari non si farà nulla. Recentemente la presidente del comitato di risoluzione bancaria Elke Koenig ha ricordato che i miracoli sono cose impossibili. Semplicemente non si realizzano. Su tutti questi aspetti il no tedesco è determinante. Sul tavolo è rimasto il ‘backstop’ del Fondo di risoluzione bancaria, il salvagente pubblico di ultima istanza. Per la verità nell’accordo di coalizione Cdu/Cus-Spd si afferma: “Vogliamo sviluppare il Meccanismo europeo di stabilità in un Fondo monetario europeo controllato dal Parlamento, che dovrebbe essere ancorato al diritto dell’Unione europea”. Ma si tratta di una indicazione troppo generale e generica.
Molto precisi e circostanziati sono gli argomenti della posizione che Cdu e Cus hanno annunciato nei giorni scorsi. Della proposta sul Fondo monetario europeo viene “respinta” la base giuridica dell’articolo 352 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea proposta dalla Commissione dati “i poteri estesi” previsti della nuova istituzione e che il Fme “deve essere consacrato come un’istituzione indipendente nella legislazione Ue come la Bei o la Bce”, cosa che esclude un ruolo preminente della Commissione europea. Poi c’è il ruolo del Bundestag da difendere: la Germania non può perdere il diritto di veto. Poi, ancora, la condizionalità degli interventi di stabilizzazione economica dei paesi: devono essere subordinati “all’accordo di un programma di riforma e di adeguamento a condizioni rigorose, un ammorbidimento di questa condizionalità non è accettato”. Non solo: il Fme dovrebbe occuparsi anche di prevenire le crisi, di monitorare i paesi sotto programma e dovrebbe prevedere anche l’eventualità della ristrutturazione del debito nei paesi partecipanti attraverso il coinvolgimento del settore privato. Infine, la funzione di stabilizzazione economica deve essere condizionata all’esistenza o meno di “rischi nei bilanci delle banche non sostenibili e quantificabili”.
In un altro documento Cdu/Csu preparato per la riunione di domani, si afferma che “i buoni europei non sono quelli che richiedono sempre più competenze per l’Unione europea. Per una buona ragione, la Ue si basa sul principio di sussidiarietà, di conseguenza, può agire solo se e nella misura in cui l’azione degli Stati membri non è sufficiente”. Da queste indicazioni viene confermata la linea classica tedesca: prima si fanno i fatidici compiti a casa, poi si possono condividere nuovi obiettivi e nuovi impegni. A Berlino non si ritiene sufficiente quanto fatto sia in termini di stabilizzazione economica e dei conti pubblici sia in termini di riduzione dei rischi bancari in particolare in alcuni paesi. Tra questi, e prima di altri, c’è naturalmente l’Italia, caso sul quale si addensano le note grandi incertezze sugli orientamenti e sulla capacità di azione del prossimo governo.
L’assonanza tra i documenti Cdu/Csu e le posizioni degli 8 ministri delle finanze del ‘fronte del Nord’ (Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Olanda, spalleggiati da Danimarca e Svezia che dell’unione monetaria non fanno parte) che si sono espressi a favore di una linea minimalista di modifica dell’attuale assetto dell’unione monetaria respingendo un percorso all’insegna dei grandi cambiamenti. I ministri delle finanze degli otto Stati hanno indicato che “l’ulteriore approfondimento dell’unione monetaria deve focalizzarsi sull’effettivo valore aggiunto non su trasferimenti di competenze a livello europeo di vasta portata”. Aggungendo: “Una forte unione monetaria richiede innanzitutto azioni decisive a livello nazionale e il pieno rispetto delle nostre regole comuni, parte dall’attuazione delle riforme strutturali e dal rispetto del patto di stabilità”.
Nello stesso documento viene indicato che “il nostro principio guida è che l’assunzione di rischi da parte di uno Stato membro deve andare di pari passo con la responsabilità di tale Stato. Le sovvenzioni sono concesse solo in condizioni rigorose. Il Bundestag tedesco deve rimanere il luogo in cui vengono prese decisioni autonome sulle entrate e le spese relative alle passività derivanti dal pagamento dell’assistenza di stabilità ad altri Stati membri”. È la stessa linea praticata dal precedente governo Merkel, né più né meno. Chi in Italia sperava in una svolta dopo l’addio di Wolfgang Schaeuble alle finanze si è sbagliato di grosso.
A questo punto appare chiaro che lo spazio per riforme di grande portata risulta assai limitato. Certamente l’asse franco-tedesco non sta funzionando per questo obiettivo, viste la debolezza della coalizione al potere a Berlino (i tre partiti che la compongono escono da una brutta prova elettorale) e la mai risolta posizione francese rispetto a una integrazione maggiore dell’unione monetaria orientata alla costruzione federale. Quanto alla Spagna, il governo Rajoy è debole perché di minoranza. L’Italia per ora resta ai lati dell’arena. Ultimamente la Francia ha invitato l’Italia (e così la Spagna) ad associarsi strettamente al lavoro in corso con la Germania proprio sull’unione monetaria: più che un aiuto alla stabilità politica italiana si tratta della richiesta di aiuto per fermare l’esclusione o l’indebolimento degli obiettivi qualificanti di riforma dell’Eurozona da parte della Germania e di altri partner dell’Eurozona.
“La prima e forse la più importante vittima delle idee di Macron è la proposta di un ministro delle finanze dell’Eurozona con il compito di sorvegliare sul bilancio comune: Berlino non ha caldeggiato realmente questa idea anche se inizialmente Merkel ha dato un tacito sostegno quando ve ne saranno le condizioni e da allora sua formula ‘la forma deve seguire la funzione’ ha significato il rigetto di riforme di grande respiro a favore di soluzioni di più basso profilo”, ha sottolineato recentemente Leopold Traugott di Open Europe. Piccoli aggiustamenti, dunque (come un’evoluzione dell’Esm) più che”esperimenti” radicali.
Se si tiene conto che l’idea macroniana di liste transnazionali per le elezioni europee del 2019 appare affossata, che non si ridurrà il numero dei commissari (uno per paese), che la prospettiva sul piano fiscale non c’è accordo tra gli Stati su uno stop alla concorrenza sleale di fatto all’interno dell’Unione, si completa il quadro della difficoltà che impediscono di procedere con decisione verso una riforma completa della Ue. Si spera sempre di compiere grandi passi invece su difesa e sicurezza, tuttavia gli ultimi eventi in Siria mostrano che Macron sta rafforzando i legami con Londra e Washington per sfruttare a pieno titolo all’interno della Ue (non solo come attore globale) il ruolo di unico Stato europeo membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Difficile che gli altri Stati glielo permettano senza fiatare.