Per un numero crescente di cittadini europei l’appartenza all’Unione è una condizione positiva. Sembra una osservazione ‘lunare’ rispetto alle correnti narrazioni euroscettiche, eppure è quanto risulta dall’ultimo Eurobarometro del Parlamento europeo fondato su un campione di mille persone e condotto fra il 18 e il 27 marzo. Rispetto all’anno scorso, la media Ue registra un aumento di chi si esprime a favore dell’appartenza all’Unione: 57%, +4% rispetto al sondaggio effettuato a settembre 2016 e quasi allo stesso livello del 2007 quando a esprimersi nello stesso senso era stato il 58% degli intervistati. Interessante il risultato britannico: far parte della Ue è una “buona cosa” per il 49% degli intervistati, +2% rispetto a settembre, per il 24% è una “pessima cosa” (-2%) e per il 27% né buona né pessima o non sa. Se si aggiunge che nell’ultimo sondaggio di YouGov per la prima volta una maggioranza di britannici manda segnali di pentimento per la scelta di Brexit, è probabile che stia cominciando una nuova fase. L’Italia non fa un figurone: l’appartenenza alla Ue sarebbe una buona cosa per il 35% (+2%), pessima per 24% (-1%) mentre il 37% dichiara indifferenza (-1%), il 4% non sa rispondere. Superati anche dalla Francia: il 53% dichiara che stare nella Ue è positivo (+5%). O il sondaggio è fallace o in Italia c’è un problema enorme.
Anche dal sondaggio pubblicato dal Parlamento europeo, commissionato alla società Kantar Public, emerge che la misurazione del consenso attraverso domande di varia natura può – come spesso capita – condurre a risultati abbastanza diversi, per cui occorre sempre considerare questi esercizi con cautela. Però dal sondaggio europarlamentare emerge un altro segnale anomalo, dato che l’Italia è un paese che resta saldamente nella Ue mentre il Regno Unito sta per avviare le pratiche di divorzio – e che divorzio. Alla domanda su quanto i cittadini di vari paesi si sentano attaccati all’Unione europea: il 48% degli italiani afferma di esserlo (+7% rispetto a sei mesi fa), i britannici però li superano: 51%, +5% rispetto a settembre. I francesi lo sono ancora di più: 55% (+2%). La media Ue è 56% (+2%).
Si vedrà se questi segnali registrano opinioni consolidate o ne ritroveremo le tracce nei risultati elettorali italiani prossimamente. Si potrebbe già comunque azzardare che l’Eurobarometro europarlamentare è in linea con il voto francese. Meglio: dato che il sondaggio è stato effettuato prima, una tendenza opposta a quella del consenso alla disgregazione dell’Unione europea appare in fase di crescita.
Interessante vedere che cosa si pensa in paesi come Polonia e Ungheria, i cui governi stanno conducendo una forsennata campagna anti-Ue pur non con l’intento di uscirne. In Polonia il 71% considera che far parte della Ue è una buona cosa (+10%). In Ungheria si scende al 48% (+1%) ma il 42% ritiene che sia una pessima situazione: l’Ungheria di Orban è spaccata a metà.
In generale, quanto emerge dall’Eurobarometro del Parlamento Ue è molto interessante perché potrebbe indicare un andamento delle opinioni più nella direzione pro-Ue o, nell’ipotesi minima, di presa di distanza dall’eventualità di seguire i britannici. Quindi di smantellare la Ue. Si chiama: timore di peggiorare la situazione in cui ci si trova oggi, anche se non è delle più felici e sicure. E’ questa la chiave interpretativa offerta dal presidente slovacco Andrej Kiska (imprenditore indipendente): convinto che la Francia al secondo turno non premierà Marine Le Pen, Kiska ammette che “in qualche misura Brexit ha aiutato (gli altri), è stato uno schiaffo in faccia a molti, che si sono risvegliati e hanno realizzato: accidenti, può succedere anche a noi”. Meglio non rischiare
Quanto agli orientamenti generali ‘narrati’ dal rapporto dell’Eurobarometro emerge chiaramente che la maggioranza del ‘campione’ indica la via europea, cioè la via comune per fronteggiare terrorismo, disoccupazione ed evasione fiscale (sulla scia politico-emozionale degli scandali aperti da LuxLeaks e a causa della considerazione maggiore dei livelli di disuguaglianza sociale e di opportunità in tutti gli Stati membri). Via comune, dunque, a fronte dell’assertività russa, della nuova presidenza americana, delle relazioni difficili con la Cina (l’Europa ha bisogno del suo mercato, dei suoi capitali ma fronteggia valanghe di importazioni a prezzi di dumping che distruggono il settore manifatturiero e in particolare l’acciaio). A favore della “risposta comune europea” agli eventi globali si schiera il 73%, per il terrorismo l’80%, per la disoccupazione il 78%, per la protezione dell’ambiente il 75%, per il contrasto dell’evasione fiscale il 74%. Per l’80% degli italiani c’è bisogno di un maggiore intervento Ue sulla migrazione, per il 74% su sicurezza e difesa, per il 68% sulla politica economica, per il 65% sull’agricoltura, per il 64% sulla politica industriale.