Dal 17 al 19 maggio una delegazione del Parlamento europeo formata dai rappresentanti della commissione speciale sui ‘tax rulings’ (creata subito dopo lo scandalo LuxLeaks), sarà negli Stati Uniti per scambiare opinioni sul contrasto dell’evasione fiscale e delle pratiche fiscali aggressive con cui individui e società aggirano i varchi aperti dalla legislazione su scala internazionale. L’obiettivo dei parlamentari è assicurarsi che anche gli Usa comincino ad attuare standard di trasparenza in linea con quelli che l’Europa ha deciso negli ultimi tempi. Ma gli Stati Uniti fanno davvero tutto quanto è in loro potere per imporre tali standard? Con un rapporto pubblicato a Bruxelles, i Verdi rispondono no. E ricordano il caso dei tre Stati ‘free’: Wyoming, Delaware e Nevada. Tre territori in cui è facilissimo stabilire società di comodo (shell company) irrintracciabili per clienti esteri. L’accusa dei verdi: gli Usa “stanno diventando il più grande paradiso fiscale”.
La Ue non ha una lista nera comune dei ‘paradisi fiscali’. Nei documenti ufficiali, tale termine non viene usato: si preferisce il termine ‘giurisdizioni non cooperative’ che non applicano gli standard stabiliti in sede Ocse. C’è sì una lista, ma tratta dalle liste dei paesi che ce l’hanno nella quale appaiono solo i ‘paradisi’ inclusi almeno in dieci Stati.
La Commissione sta lavorando da un mese alla creazione di una vera ‘black list’ europea da definire dopo l’accordo sui parametri di riferimento e dopo un negoziato con le stesse giurisdizioni sotto tiro. L’obiettivo è convincerle a rispettare i requisiti Ocse di trasparenza. Se non lo faranno allora appariranno nella lista europea con conseguenze reputazionali e anche sanzionatorie. Le sanzioni per la violazione delle regole di trasparenza per le imprese, infatti, sono già previste dalla direttiva sulla contabilità (resterebbero comunque di pertinenza nazionale). Quali giurisdizioni dovrebbero comparire nella lista dovrebbe essere noto già questa estate.
Il caso americano viene citato raramente a Bruxelles. Nella lista di diversi paesi compaiono le Isole Vergini, territorio statunitense con autonomia amministrativa esercitata da un Senato di quindici membri. Non appaiono Delaware, Nevada e Wyoming. Eppure lì si annidano problemi enormi ed è stato lo stesso segretario di Stato al Tesoro Jack Lew a scrivere in una lettera del 5 maggio scorso al Congresso: ”Restano varchi nella nostra legislazione che permettono a soggetti scorretti e a società Usa di nascondere attività di riciclaggio, evasione fiscale e altre attività finanziarie illecite”.
In Nevada è possibile aprire una società a responsabilità limitata in 48-72 ore, con il vantaggio che il Nevada è il solo Stato americano che non deve fornire informazioni anche con l’Internal Revenue Service. Il temutissimo Irs ha la responsabilità della raccolta delle imposte. Nel Delaware per 549 dollari basta inviare la richiesta e il semaforo verde arriva lo stesso giorno purchè la domanda venga fatta prima dell’una del pomeriggio. I residenti sono 935 mila, le imprese registrate un milione centomila, incluse quelle che appaiono nella lista Fortune 500 (dati 2014).
Nel rapporto dei Verdi europei c’è anche questa chicca: il Corporation Trust Center, 1209 N Orange Street a Wilmington è l’indirizzo legale di 285 mila imprese. Google, American Airlines, Apple, General Motors, Coca Cola Kentucky Fried Chicken, Verizon, Deutsche Bank hanno lì un presidio. The Guardian ha pubblicato la notizia secondo cui sia Hillary Clinton che Donald Trump, candidati alla Casa Bianca, avrebbero registrato lì delle società.
Un’altra opzione largamente praticata, è scritto nel rapporto del gruppo parlamentare verde, è acquistare società già esistenti nel Wyoming per una somma che può andare da 645 dollari (per una società a responsabilità limitata nell’aprile 2016) a 7.295 dollari (per una srl incorporata a febbraio 2007). La differenza di prezzo viene spiegata così: quanto più è vecchia la srl meno sospetti possono esservi per le banche e gli organismi di regolazione/supervisione rispetto a una società creata per una operazione specifica.
Non sono solo i Verdi europei a preoccuparsi. Lo stesso Fondo monetario internazionale ha rilevato come le agenzie che hanno il compito di vigilare sul rispetto delle leggi fiscali “indicano di trovarsi normalmente di fronte a situazioni in cui entità estere riciclano fondi negli Stati Uniti o in altre giurisdizioni usando società americane”.
Conclusione del rapporto: gli Usa possono essere considerati un grande paradiso fiscale “precisamente perché la legislazione ha dei varchi, delle scappatoie per quanto riguarda la proprietà e il controllo delle società”. Ciò significa che “il livello di trasparenza del sistema legale americano non è coerente con la responsabilità derivanti dall’essere il centro finanziario principale del mondo”.
In aggiunta alle scappatoie (legali), gli Usa non si sono impegnati “pienamente” allo scambio automatico di informazioni fiscali con altri paesi secondo gli standard Ocse, dicono i Verdi: negli accordi bilaterali lo scambio “non avviene in una condizione di reciprocità, nel senso che i paesi europei forniscono più informazioni di quanto ne trasferiscano gli Usa”. Ciò può creare un incentivo a muovere gli asset verso gli Stati Uniti.
Il 5 maggio gli Usa hanno annunciato nuove misure per migliorare la trasparenza tra cui la ‘Customer due diligence final rule’, che introduce nuovi requisiti per le istituzioni finanziarie per raccogliere e verificare informazioni sui proprietari beneficiari delle imprese; una proposta di legge per imporre trasparenza sui beneficiari quando viene creata l’impresa; una regolazione per i singoli proprietari non americani partecipanti alla srl che dovranno ottenere un numero di identificazione presso le autorità fiscali. Attualmente in 14 Stati Ue è possibile creare società senza identificarne gli azionisti e neppure i manager e non tutte sono tenute ad avere il numero di identificazione fiscale. L’unico ‘impiccio’ è indicare una “parte responsabile”. Si vedrà se il Congresso approverà le nuove misure: difficile che lo faccia prima delle presidenziali. In ogni caso, per i Verdi, si tratta di passi ancora troppo timidi.