Quando l’economia europea tornerà a essere “normale”? E’ questo un interrogativo che circola da tempo anche nelle istituzioni Ue e finora non è mai stato oggetto di un confronto in sedi politiche appropriate, ad esempio all’Ecofin o all’Eurogruppo. Eppure è ormai acquisizione comune che la crescita economica, per quanto in cammino, resta limitata, insufficiente se non fragile. Si sapeva che il recupero dalla crisi finanziarie è più lungo rispetto al ciclo recessivo non originato da crisi finanziarie, tuttavia nella zona euro aumenta la consapevolezza della gravità del problema. E’ vero che il ministro olandese Dijsselbloem, al secondo mandato come presidente dell’Eurogruppo, ha giustamente respinto la “psicologia della paura” ricordando che la ripresa della zona euro si sta rafforzando mentre la crescita americana si sta indebolendo. Tuttavia, il giorno prima il presidente della Commissione Juncker ha annunciato che il famoso piano straordinario per gli investimenti da 315 miliardi (perlopiù capitale privato) nel 2015-2017 dovrà essere prorogato almeno fino al 2019. Evidentemente si riconosce già che l’attuale non basta. Se poi si pensa che la flessibilità sui conti pubblici – al centro di aspre e legittime battaglie – è limitata a pochi decimali di punto percentuale sul deficit pubblico, ci si rende conto che si sta parlando di gocce nel mare delle necessità.
Nel frattempo Parigi e Berlino hanno fatto filtrare sulla stampa che entro l’anno prepareranno una proposta comune (l’ennesima) per ridare slancio all’unione economica e monetaria. Il ministro Pier Carlo Padoan sta lavorando sulla stessa cosa ed è attesa a giorni un ‘paper’ italiano sul futuro della zona euro, tra analisi economica e proposta politica dopo l’affondo sulla creazione di un’assicurazione europea contro la disoccupazione. Quest’ultima proposta è rimasta per ora semi ignorata, ma costituisce un elemento interessante per unificare davvero l’Eurozona e affermare una visione costruttiva della ‘governance’ economica non limitata ai controlli sui conti pubblici.
Non va dimenticato l’articolo dei due banchieri centrali francese e tedesco Francois Villeroy de Galhau e JensWeidmann, che vorrebbero un Tesoro comune per la zona euro insieme a un Consiglio di bilancio indipendente e un organo politico più forte per prendere le decisioni politiche sotto il controllo parlamentare. Se questo non sarà possibile, allora non resterebbe che stringere ancora di più le corde del controllo dei bilanci pubblici. In realtà la seconda opzione appare incorporata nella prima: il consiglio di bilancio indipendente dovrebbe agire senza quei margini di discrezionalità politica sulla flessibilità usati dalla Commissione, discrezionalità che non piace alla Germania, in particolare al ministro Schaeuble e alla Bundesbank.
La corsa alla progettualità sul futuro della zona euro è benvenuta: secondo molti la sua incompletezza è un fattore di sfiducia sulla complessiva capacità di ‘governance’ che pesa sulle aspettative degli stessi operatori economici. Fonti europee indicano, però, che difficilmente la proposta franco-tedesca potrà andare al di là di una tabella di marcia non diversa da quella tracciata dal rapporto dei 5 presidenti Ue: le vere scelte, come quella se andare verso un’autorità di bilancio della zona euro con un ministro del Tesoro unico, saranno discusse dopo il 2017, cioè a urne chiuse sia in Francia che in Germania.
Resta il fatto che nessuno è in grado di dire quando si tornerà alla normali tanto più che le banche piene di crediti in sofferenza (le italiane ma non solo) e quelle pienamente esposte agli investimenti speculativi (anche le tedesche) impiegheranno molto tempo prima di rimettersi in sesto. Dijsselbloem ha parlato di un processo che durerà “qualche anno”.
Nell’ultimo numero della rivista americana Lawrence Summers, uno degli economisti-politici più brillanti in circolazione, ha riproposto la sua tesi della stagnazione secolare in cui è precipitata l’economia aggiungendo all’analisi fattori finora rimasti in ombra. Anche ‘corporation’ della frontiera tecnologica come Apple e Google “tendono a conservare il capitale”, dice Summers, perché “ in un periodo di rapido cambiamento tecnologico può avere senso rinviare l’investimento dato che la nuova tecnologia diventerà presto obsoleta”. Casi ultimi sono l’impatto di Airbnd sulla costruzione di hotel e di Uber sulla domanda di auto.
Summers ricorda che la sola politica monetaria con i tassi a zero non basta a uscire dal circolo vizioso, per cui “la responsabilità primaria per fronteggiare la stagnazione secolare poggia sulla politica di bilancio… espansiva che può ridurre il risparmio nazionale, aumentare i tassi di interesse e stimolare la crescita”. E’ un discorso che riguarda anche l’Europa, secondo Summers: “La comunità globale dovrebbe incoraggiarle l’Europa a generare domanda interna”.
In un recente ‘paper’ pubblicato dalla Dg affari economici della Commissione appare il resoconto di una consultazione di vari economisti sui caratteri della ripresa dalla recessione, partendo dalla discussione sulla stagnazione secolare, e si giunge alla conclusione che “nella zona euro nel suo complesso la crescita economica è stata nella migliore delle ipotesi mediocre, gli effetti di isteresi (intervallo di tempo tra l’azione e la reazione – ndr) sono stati significativi e le politiche di bilancio e monetarie possono non essere state sufficientemente accomodanti a fronte delle forti pressioni al disindebitamento privato e pubblico e dei vincoli sistemici dell’unione monetaria” (Forward to a New Normal, Karl Pichelmann, Eric Ruscher, Michael Thiel, http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/eeeb/pdf/eb002_en.pdf).
Rispetto alla nettezza con cui negli anni di recessione la Commissione europea aveva accreditato senza tentennamenti la teoria e la pratica dell’”austerità espansiva” (basti ricordare gli interventi dell’allora responsabile degli affari economici Olli Rehn oggi parlamentare europeo finlandese) è il massimo della riflessione critica che si trovi su quel periodo. Naturalmente, è meglio di niente.