Paradossalmente quasi archiviata la pratica Barroso, si è già aperta la partita tra i governi sui posti chiave nella prossima Commissione Europa. Non è che l’uomo politico portoghese sia già stato designato per un secondo mandato come presidente, ma il suo bis viene dato per scontato. Decideranno i capi di stato e di governo il 18-19 giugno come decretarlo. Il partito socialista europeo ha ripetuto di non poter sostenere il bis e con verdi e una parte dei liberali sta forgiando una (debole) candidatura Verhofstadt, ex primo ministro belga, ma si tratta di fuochi di sbarramento destinati a non resistere. I Ventisette governi della Ue sono tutti per Barroso, apertamente sponsorizzato anche da tre governanti socialisti: il britannico Brown, lo spagnolo Zapatero e il portoghese Socrates.
Che a una parte (non la maggioranza) dell’Europarlamento Barroso non piaccia è un altro paio di maniche, ma ciò difficilmente si tradurrà in una lotta disperata. In gioco ci sono troppe cose: sul versante dell’Europarlamento (che comunque sulla nomina della Commissione e del suo presidente ha un potere decisivo) la prosecuzione del patto Pse-Ppe sulla divisione a metà legislatura della carica di presidente; sul versante dei governi la nomina del presidente permanente Ue e del commissario incaricato di politica estera (nel molto probabile caso in cui il Trattato di Lisbona si sblocchi dopo il secondo referendum irlandese a metà ottobre). Cosicché il quadro è molto complicato. Come è complicato delineare il profilo della futura Commissione europea. L’asse franco-tedesco è chiaramente definito: "Sosteniamo le scelte della Germania e la Germania sosterrà le nostre sulle persone", ha dichiarato Sarkozy dopo l’incontro a Parigi con la cancelliera Merkel. L’obiettivo è dare alla Commissione una sterzata "proattiva" nella regolazione finanziaria, nella politica industriale, nella difesa della posizione commerciale nel mondo. Per questo hanno chiesto a Barroso di presentare il programma politico dei prossimi cinque anni. Se l’ipotesi più probabile è che tra una settimana i Ventisette annunceranno l’accordo politico sul suo nome rinviandone la designazione formale a fine anno con il Trattato di Lisbona ratificato da tutti, il portoghese sarà condizionato più del solito nella definizione dei portafogli.
A Bruxelles contano tutti i portafogli perché a rigore se si vota (non avviene mai) una testa vale un voto. Ma ce ne sono, come è ovvio, alcuni più pesanti (politicamente non solo legalmente) di altri. Tra questi sicuramente ci sono concorrenza, mercato interno, commercio, affari economici, ambiente. Sul mercato interno ci sono le mire francesi; la Spagna punta a una riconferma di Almunia all’economia; Londra non mollerà il commercio e Londra vuole mercati aperti; la Germania guarda sempre con acceso desiderio la concorrenza sapendo di non potere, troppo potente con tutti i suoi ‘campioni’ nazionali da difendere, ‘mission impossible’. Tanto per dire del clima, un po’ di tempo fa Sarkozy dichiarò: "La concorrenza non deve essere più l’alfa e l’omega della dottrina economica europea", va promossa la politica industriale. Il governo italiano è in totale sintonia. La partenza dell’olandese Neelie Kroes dall’Antitrust, che si è inimicata quasi tutti i governi travolti dalla crisi bancaria, viene data per scontata anche se nei corridoi si ricorda come non abbia mai detto di non volere un secondo mandato (ipotesi comunque del tutto improbabile). Antonio Tajani dovrebbe essere confermato ai Trasporti a meno che l’Italia non debba (o voglia) aumentare il peso del portafoglio in Commissione se l’europarlamentare Pdl Mario Mauro non riuscirà a diventare presidente dell’Europarlamento.
Tutto questo indica che i margini di manovra di Barroso sono limitati, anche se dovrebbe essere il contrario per un uomo politico quasi a furor di popolo chiamato al bis. Erano forti, fortissimi Jacques Delors, che tra il 1985 e il 1985 di mandati consecutivi ne ebbe addirittura tre, e all’inizio dell’avventura europea il tedesco Walter Hallestein, che ne ebbe due per nove anni in totale. Hallestein cominciò il 10 gennaio 1958 e la Commissione era la numero 1. Atri tempi, altra stoffa. Il Barroso 1 è stato universalmente criticato per eccesso di realismo: non ha mai presentato una proposta senza prima aver sentito un congruo numero di capitali indebolendo così il pilastro comunitario del monopolio del diritto di iniziativa legislativa. E anche per aver tollerato troppo a lungo una visione neoliberista della regolazione (quella dell’autoregolazione dei soggetti finanziari tanto cara al commissario irlandese McCreevy). Difficile che il Barroso 2 annunci svolte clamorose.