Il premier finlandese Matti Vanhanen (liberale e alla guida di un governo con i socialdemocratici) rompe un tabù politico-economico. Dalle colonne del Financial Times ha invitato gli altri 26 leader europei ad aprire la scatola nera dell’aumento delle imposte. Nel 2010 il debito pubblico nell’eurozona sarà pari all’84% del prodotto, il deficit del 6,5%. In queste condizioni "è irrealistico pensare che il riequilibrio possa essere fatto solo dal lato della spesa (riducendola – ndr) – scrive Vanhanen -, nel lungo termine si dovrà aumentare complessivamente la tassazione". In alcuni settori come la tassa sulla proprietà o sull’eredità cioè potrà essere fatto tranquillamente a livello nazionale, ma interventi di questo tipo "non aumentano significativamente l’ammontare delle entrate. Solo cambiamenti nella tassa sul valore aggiunto, nelle accise o nell’imposizione sui redditi e sul capitale possono fare la vera differenza". Una operazione del genere, però, deve essere coordinata a livello europeo seguendo il metodo sperimentato per l’emergenza della crisi finanziaria "per evitare concorrenza fiscale e il danno che questa provocherebbe alla crescita economica europea".
Non ci sono state reazioni. Un conto è un articolo sul Financial Times un altro conto è una discussione politica aperta in un consesso istituzionale qual è il Consiglio europeo. E’ un fatto però che nella ‘fase 2’ dell’azione contro la crisi (dopo i salvataggi di banche e qualche economia, ultima la Lettonia) il tema fiscale si sta imponendo con una certa forza. Fino a chiedersi se l’attuale livello di integrazione europea possa ancora sopportare una concorrenza fiscale, in ogni caso legittima e difesa finora da tutti i paesi, che se portata alle estreme conseguenze in fase recessiva agisce in senso contrario all’integrazione. In Italia ne parla da tempo Mario Monti (in plateale solitudine).
Coordinamento non significa armonizzazione. Il premier finlandese lo sa e, infatti, si ferma a questa constatazione: la crisi e i costi per superarla mettono in luce l’inadeguatezza del codice di condotta europeo che limita l’impegno ad attuare nuove misure di concorrenza fiscale dopo quelle degli anni Ottanta e Novanta e a smantellare quelle "percepite" come dannose al mercato unico. L’idea nuova è "concordare di cambiare i livelli di certe tasse in parallelo" per evitare distorsioni competitive che cambierebbero gli equilibri pre-crisi. Sullo sfondo c’è evidentemente una convinzione: le entrate fiscali non torneranno più ai livelli precedenti perchè la crescita economica dei prossimi anni sarà inferiore a quella dei tempi d’oro quando agiva il propellente delle spericolate attività finanziarie.
Due cose sono chiare. La prima è che alcuni paesi, maggiormente toccati dalla crisi e per questo più bersagliati sui mercati, prevedono o hanno già annunciato aumenti delle imposte. In Spagna Zapatero ha ridotto la tassazione al 32% del pil, il livello più basso dal 1995, e oggi ritiene che il paese possa facilmente affrontare aumenti delle imposte. Ha cominciato con tabacco e carburanti. Entro il 2010 il deficit pubblico spagnolo triplicherà arrivando al 10% del pil. Il riequilibrio finanziario irlandese si giocherà più sugli aumenti che sui tagli di spesa (deficit al 12,75 del pil). Nella stessa direzione la Grecia.
La seconda cosa sicura è che (a parte la questione di principio sul coordinamento versione finlandese) non vanno in quella direzione i grandi paesi: Germania, Francia e Italia. La cancelliera tedesca Merkel ha rinviato al 2010 dopo il voto di settembre (se sarà confermata) la riduzione delle imposte e invece di fare una campagna elettorale all’insegna dell’alleggerimento fiscale cerca di parlarne il meno possibile. Intanto, poco dopo essere arrivata al potere ha aumentato di tre punti percentuali l’Iva facendo inviperire mezza Europa. Così ha risposto Sarkozy a chi, nella sua maggioranza, chiedeva di sospendere lo ‘scudo fiscale’ o di colpire i redditi più elevati: "Non sono stato eletto per aumentare le imposte". L’Italia è sulla stessa linea: il governo ripete "non toccheremo le tasche degli italiani". Nel 2010 il debito pubblico italiano supererà il 116% del pil, il deficit nominale sarà vicino al 5% nel biennio, anche se il deficit strutturale (al netto degli effetti recessivi) è sotto il 3%. Rispetto ai fronte debole della Ue (di cui fanno parte Irlanda, Grecia e in parte Spagna), i tre ‘grandi’ hanno una posizione finanziaria diversa (pur trovandosi in Recessione). Il problema è se potranno tenerla.