“Fermare la macchina prima che cada dalla rupe”. Così il presidente della Commissione Ue José Barroso ha sintetizzato la sterzata di cui ha bisogno la ‘governance’ dei bilanci pubblici e delle politiche macro-economiche nell’Unione e in particolare nell’Eurozona. Le proposte di riforma radicale del patto di stabilità, con l’attenzione al debito pubblico, le sanzioni semi-automatiche alle quali sarebbe più difficile (ma non impossibile) ai governi opporsi, la sorveglianza stretta degli squilibri finanziari esterni, interni e di competitività, sono formalmente sul tavolo e ora tocca ai governi andare allo scoperto. La prima occasione è data dalle riunioni informali di domani e venerdì di ministri e banchieri centrali europei a Bruxelles. Poi scatterà un ‘tour de force’ perché l’obiettivo è chiudere tutto entro l’estate prossima e, dato che sarà pienamente coinvolto anche il Parlamento europeo, non c’è molto tempo.
Due i temi bollenti, su entrambi dei quali gli schieramenti sono già delineati. Il primo riguarda il debito pubblico: se passerà la proposta comunitaria (vale solo per l’Eurozona), potrà essere messo sotto tiro. Se in un paese supera il 60% del pil e non viene ridotto “a un ritmo soddisfacente” scattano la procedura europea con le sanzioni anche se il deficit/pil dovesse trovarsi sotto il 3%. La vera stretta sta nella regola del ‘ventesimo’. Per la prima volta viene indicato un parametro preciso per dare sostanza al principio del calo a un ‘ritmo soddisfacente’: è tale se il rapporto debito/pil nei tre anni precedenti è calato in media di un ventesimo della differenza tra il 60% e l’effettivo livello all’anno. Nel caso dell’Italia, con un debito/pil al 118%, si tratterebbe di circa il 2,9%, pari a circa 50 mld di euro in condizioni ipotetiche di crescita zero. Quanto più alta sarà la crescita (il riferimento è al pil nominale) tanto più bassa sarà la riduzione necessaria per rispettare il vincolo sul debito.
E’ vero che la valutazione del debito pubblico terrà conto di altri “fattori rilevanti” tra cui, come ha chiesto l’Italia, anche il debito privato, in Italia più basso rispetto a molti altri paesi europei (oggi il premier Silvio Berlusconi ha affermato in Parlamento che a livello europeo è ‘passata’ la decisione di aggregare al debito pubblico il debito privato, ma le cose non stanno così). L’apertura della procedura non sarà, quindi, un fatto “automatico”, ma è altrettanto chiaro che i paesi ad alto debito, e sicuramente tutti quelli che lo hanno oltre il 100% del pil (in ordine di gravità Grecia, Italia e Belgio), dovranno – secondo la Commissione – fare maggiori sforzi per avere un deficit molto più basso del 3% se vorranno ridurre il debito secondo il nuovo vincolo. Il messaggio lanciato oggi dal commissario Olli Rehn è, in questo senso preciso: lo sforzo per ridurre il deficit in Italia sarà “significativo”, ma deve essere fatto. La regola del ‘ventesimo’, comunque, scatterebbe tre anni dopo l’entrata in vigore delle nuove regole (si parla del 2014): di conseguenza, se non si vuole essere colpiti dalla procedura europea e dalle sanzioni, occorrerà cominciare a ridurre il debito avendo come riferimento quel ritmo dal 2011.
L’idea del riferimento numerico per il calo del debito, in condizioni dell’economia normali, in assenza di eventi eccezionali che costringano a maggiori flessibilità (è il caso della recessione degli ultimi due anni) riporta sul tavolo europeo l’obiettivo di puntare a deficit “prossimi all’equilibrio”, obiettivo che era stato indicato e rapidamente abbandonato nella primavera 2007.
L’altro giorno la Commissione europea ha consegnato ai ministri finanziari della task force Ue una elaborazione riservata interessante le cui conclusioni Il Sole 24 Ore Radiocor è in grado di riportare. Indica che cosa sarebbe accaduto se il vincolo sul debito proposto oggi fosse stato applicato nel decennio fino alla crisi finanziaria. L’Italia non avrebbe lo avrebbe rispettato dal 2011. “Il basso livello di crescita potenziale reale e le revisioni al rialzo ex post del deficit al 3% o oltre fra il 2001 e il 2006 avrebbero giustificato l’apertura di una procedura sulla base del criterio del debito già nel 2002 sulla base dei dati 2001. Nel 2007 l’Italia non sarebbe stata in linea anche se il deficit si trovava al di sotto del 3% del pil (era all’1,5% nel 2007)”. La Germania non avrebbe rispettato il vincolo nel 2004-2005-2006, ma solo nel 2006 mentre il deficit era sotto il 3%. La Francia superava la soglia del 60% nel 2002 aumentando il debito fino al 2005 e nei due anni successivi centrava il bersaglio. La Grecia non avrebbe rispettato la regola del ‘ventesimo’ già nel 2001 e nel 2002 “anche se mostrava un deficit sotto il 3%”. “Il criterio del debito – scrive la Commissione – avrebbe fatto scattare la procedura Ue e possibilmente fatto scoprire i falsi statistici”. Nel 2003 il bersaglio venne raggiunto grazie all’alta crescita nominale, dopo il 2004 il debito ha continuato a salire.
Questa una delle conclusioni: “I casi della Grecia e dell’Italia, paesi in cui si sono verificati ragguardevoli revisioni tra la prima notifica di deficit e i dati effettivi, mostrano una importante funzione dell’obiettivo di riduzione del debito: la sua capacità di ‘captare’ in tempo reale casi di violazione delle regole che i dati del deficit evidenziano solo più tardi”.
Su questa impostazione si ritrovano Germania, Olanda, Slovenia, Finlandia oltre, naturalmente, alla Bce. Sul fronte opposto si trovano Italia, in parte Francia, Belgio, Spagna, Slovacchia che, nelle ultime riunioni tecniche, hanno sponsorizzato un’idea completamente diversa: invece di verificare l’andamento del debito nei tre anni successivi, indichiamo degli obiettivi di riduzione per i tre anni successivi stringendo le maglie del controllo europeo se non vengono rispettati. In questo modo risulterebbe impossibile prevedere sanzioni sulla base di obiettivi semplicemente stimati e, quindi, soggetti a notevole incertezza.
L’altro punto di scontro riguarda il sistema di voto: la Commissione propone che l’Ecofin (nella versione Eurogruppo dato che le nuove regole riguardano solo i membri dell’unione monetaria) possa solo bocciare il passaggio alle sanzioni a maggioranza qualificata. Francia, Italia e probabilmente Belgio si sono pronunciati a favore della maggioranza semplice. Nove invece i paesi che sostengono la Commissione (restano degli incerti). In gioco c’è il margine di automatismo delle sanzioni, che rimanda all’equilibrio tra i poteri della Commissione Ue e i poteri dei governi. La stessa Commissione, in ogni caso, sembra mettere già in conto un compromesso sulla maggioranza semplice.