Pieno uso degli asset russi immobilizzati dalle sanzioni per finanziare il prestito per la riparazione dell’Ucraina; via libera all’accordo con il Mercosur; flessibilità sullo stop alle auto nuove a benzina e diesel al posto del divieto assoluto dal 2035. Questi sono le tre decisioni che la Ue deve prendere a stretto giro di posta questa settimana: la prima al Consiglio europeo convocato giovedì e venerdì a Bruxelles; la seconda entro sabato; la terza domani, quando è attesa la proposta della Commissione europea sulla spinta della gran parte dei governi. Una specie di triangolo che collega geopolitica e sicurezza, economia e adattamento accelerato del Green Deal per evitare, questo l’obiettivo indicato, la deindustrializzazione. Capita raramente che in un pugno di giorni la Ue si trovi a dover affrontare contemporaneamente scadenze politiche che costituiscono punti nevralgici delle politiche comuni. Più di un osservatore arrischia addirittura uno scenario di “nuova fondazione” dell’Unione europea, proprio a ridosso dell’attacco più pericoloso alla sovranità politica europea condotto dall’amministrazione Trump.
Lo scenario non è però scontato: se sulla flessibilità per il settore auto la Commissione europea si è mossa a ricasco dei governi e di una parte consistente dell’industria, di una parte maggioritaria del Parlamento Ue, sull’accordo Ue-Mercosur c’è il rischio di uno stallo. Sull’uso pieno degli asset russi l’intenzione di chiudere la partita c’è: un primo passo è stato fatto dai governi decidendo a maggioranza qualificata e non all’unanimità la persistenza a tempo indeterminato della sanzione (il blocco degli asset, appunto) invece di lasciarla ostaggio di una decisione ogni sei mesi in balìa del diritto di veto. Però il Belgio recalcitra ancora. La responsabile della politica estera e sicurezza Kaja Kallas ha indicato: “L’opzione più credibile è il prestito di riparazione e su questo stiamo lavorando, non ci siamo ancora arrivati, è sempre più difficile, ma ci stiamo lavorando”.
Il tutto avviene mentre la Ue o, meglio, alcuni leader Ue, cercano di entrare in modo permanente nel negoziato sulla pace in Ucraina guidato da gli Usa. Non è scontato.
Partiamo dalla svolta comunitaria sull’auto: stando a quanto indicato nel fine settimana dal popolare Manfred Weber la Commissione dovrebbe proporre a Consiglio e Parlamento Ue di adattare l’obiettivo originario dello stop alle nuove a benzina e diesel dal 2035 (immesse nel mercato), riducendo al 90% il taglio delle emissioni di Co2 invece del 100%, e di consentire l’uso di carburanti alternativi puliti, biocarburanti compresi. Di conseguenza, ha indicato Weber, “tutti i motori attualmente prodotti in Germania potranno continuare a essere prodotti e venduti”. Oltre a un piano di sostegno del settore, la Commissione proporrà un quadro di riferimento per la produzione di veicoli elettrici piccoli dal costo fra 15 mila e 20 mila euro per fronteggiare la forte concorrenza cinese su questo segmento di mercato.
L’importanza della decisione di Bruxelles sta nelle cifre: il settore dà lavoro diretto e indiretto a 13,8 milioni di persone, pari al 6,1% dell’occupazione totale della Ue; rappresenta l’8% del valore aggiunto manifatturiero europeo. Nei 255 stabilimenti che assemblano veicoli e producono batterie e motori, nel 2023 sono stati prodotti 14,8 milioni di veicoli, di cui 12,2 milioni di auto, livello che rimane inferiore ai livelli pre-pandemia. Il cancelliere tedesco Merz ha recentemente indicato che l’elettrico resta la scelta principale per la decarbonizzazione, tuttavia non si deve rinunciare alla “neutralità tecnologica” per cui porte aperte ai carburanti puliti (più o meno). Tenuto conto della necessità di fronteggiare la dominanza cinese sull’elettrico e di non perdere definitivamente la partita tecnologica, minimo la revisione Ue lascia molto tempo all’industria continentale per la decarbonizzazione totale e tiene aperta la prospettiva della coabitazione delle tecnologie.
La questione del Mercosur è spinosa sia per ragioni politiche che economiche. Il fatto che nella capitale belga giovedì siano attesi diecimila agricoltori con i loro trattori per farsi sentire dai 27 leader Ue riuniti per Consiglio europeo, indica che gli accordi commerciali di rilievo scatenano sempre proteste non facili da gestire.
Il presidente francese Macron ha chiesto seccamente il rinvio del voto, però sabato von der Leyen dovrebbe volare in Brasile per firmare l’accordo di libero scambio. Macron vuole ottenere altre misure di protezione per l’agricoltura non ritenendo sufficienti le salvaguardie previste. Polonia e Ungheria sono notoriamente contrarie al patto di libero scambio, Austria e Irlanda simpatizzano con la Francia. L’Italia deve decidere se far pesare in un senso o nell’altro la decisione: la settimana scorsa il ministro Lollobrigida ha indicato che resta del lavoro da fare sulle garanzie, dichiarando la sua (mezza) insoddisfazione. Se l’Italia sostenesse la Francia e gli altri il via libera alla firma sarebbe bloccato: finora non ci sono segnali che indichino quale sarà la scelta.
Domani si pronuncerà il Parlamento europeo: potrebbe prevalere una impostazione più dura sulle salvaguardie. Scatterebbe un’inchiesta della Commissione se le importazioni di carne bovina o pollame aumentassero di oltre il 5% rispetto alla media triennale e se avessero un prezzo inferiore di almeno il 5% rispetto a prodotti europei comparabili. Ora si prevede che la soglia per il cosiddetto “freno d’emergenza” sia del 10%.
Il meccanismo riguarda anche i prodotti lattiero-caseari, lo zucchero e l’etanolo. L’inchiesta comunitaria esaminerà fattori quali i volumi delle importazioni, l’andamento dei prezzi e l’impatto sulla produzione, sulle vendite, sull’occupazione e sui profitti nel settore Ueinteressato. Per i prodotti sensibili, si concluderà entro quattro mesi e, in casi urgenti, possono essere introdotte misure provvisorie entro 21 giorni.
L’accordo Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay più Venezuela e Bolivia) è considerato vantaggioso per la Ue, che è il secondo più grande partner commerciale del gruppo dopo la Cina e prima degli Stati Uniti. Nel 2023 la Ue rappresentava il 16,9% degli scambi totali del Mercosur. Quest’ultimo è il decimo partner commerciale di merci della Ue, le cui imprese hanno un enorme potenziale per esportare ancora di più in questo grande mercato di oltre 295 milioni di persone. In sostanza, se in vigore, stimolerebbe le esportazioni Ue di automobili, macchinari, liquori e vini, e le esportazioni dall’America Latina di carne, miele, riso, socia e zucchero. Proprio su tale import si appuntano le contestazioni del settore agricolo europeo.
Ma c’è anche il “lato” strategico: un accordo con quest’area latino-americano comporta vantaggi per l’accesso alle materie prime critiche di cui la Ue ha gran bisogno e frena il processo di smantellamento delle politiche multilaterali in campo commerciale in atto da parte dell’amministrazione americana.
Infine la partita degli asset russi. In realtà non ci sono grandi novità rispetto al fine settimana. Stasera si riuniscono di nuovo gli ambasciatori degli Stati membri presso la Ue dopo l’approvazione a maggioranza qualificata del regolamento per rendere permanente la sanzione sui beni della banca centrale russa. Ungheria e Slovacchia hanno votato contro; Belgio, Italia, Bulgaria e Malta hanno votato a favore con una dichiarazione a verbale nella quale viene indicato che la decisione non pregiudica quanto i leader decideranno questo fine settimana (l’uso degli asset per il prestito a Kiev), non costituisce un precedente per le decisioni future di politica estera e sicurezza, che vanno studiate opzioni alternative.
Per l’Italia il senso di questa nota va ricercato nell’equilibrismo mantenuto dalla premier Meloni tra posizioni assunte a livello Ue e posizioni statunitensi. Il Belgio è da sempre contrario all’operazione prestito senza garanzie permanenti e integrali scolpite nel “marmo” per condividere con gli altri governi. Al gruppo si allinea anche il premier ceco Babis.
Oggi il sottosegretario tedesco Gunther Krichbaum ha detto alla stampa che la discussione “non è semplice” aggiungendo che, però, non ci sono alternative risolutive. D’altra parte, ha sottolineato, soluzioni diverse, che implichino necessariamente impegni finanziari certi potrebbero cambiare i giudizi delle agenzie di rating nazionale, agenzie che sono americane. Un rischio che in tempi di debito pubblico alto non conviene correre. Mentre il ministro degli esteri danese Lokke Rasmussen ha detto che entro questa settimana una decisione va presa per aiutare Kiev e anche per dimostrare che la Ue “è un attore forte, altrimenti prevarrà l’impressione disegnata da Trump per cui l’Europa è debole”.