Giovedì Ursula von der Leyen non otterrà certamente la maggioranza schiacciante con cui è stata eletta presidente del Parlamento europeo la popolare maltese Roberta Metsola, 562 voti su 623 voti espressi (gli eurodeputati sono 720). Per la verità secondo qualcuno l’esito il voto dei parlamentari sulla presidente della Commissione europea per il secondo mandato sarebbe ancora incerto, sta di fatto che gli scettici sono pochi e l’attesa che l’ex ministra tedesca della difesa ce la farà a superare la soglia dei 361 voti continua a prevalere. In queste ore e per tutta la giornata di domani si moltiplicano contatti personali e riunioni dei gruppi politici per alzare il prezzo del loro consenso a von der Leyen, meno per misurarne le distanze.
A questo punto i negoziati vertono sulle dichiarazioni programmatiche che von der Leyen presenterà giovedì mattina e i vari pezzetti di cui si comporrà il “puzzle” degli impegni di legislatura della nuova Commissione serviranno ad attrarre voti dai ranghi oltre quelli del Ppe, di S&D (socialisti) e Re (i liberali di Renew Europe), che sulla carta hanno 401 voti.
È ormai certo che una buona parte dei Verdi dovrebbe votare per von der Leyen (il gruppo conta 54 parlamentari) e questa sarebbe una effettiva novità politica. Alcune delegazioni dell’Ecr, i Conservatori e Riformisti (il partito di cui è presidente la premier italiana Giorgia Meloni), la voteranno. Che cosa faranno i 24 parlamentati di Fratelli d’Italia ancora non si sa: von der Leyen ha incontrato i vertici Ecr e la delegazione italiana ha chiesto “un radicale cambio di passo sul Green Deal”, contro “l’approccio ambientalista ideologico”, in difesa della “neutralità tecnologica” (leggasi per uno stop al bando secco delle auto nuove a benzina e diesel dal 2035 o più realisticamente per accentuare il ruolo dei carburanti puliti per le auto a motore endotermico). Non si ritiene evidentemente che la frenata compiuta dalla stessa von der Leyen e anche dalla maggioranza del vecchio Parlamento su alcune leggi (e così anche in seno al Consiglio Ue) sia sufficiente. Nondimeno si sottolinea come von der Leyen ultimamente abbia cambiato approccio (o linea). Per esempio, sostiene Fratelli d’Italia, ha saputo resistere alle pressioni delle sinistre schierate controgli accordi con la Tunisia e con l’Egitto sull’immigrazione. Qualche giorno fa esponenti italiani del gruppo indicavano che il voto sarebbe stato negativo allo stato delle cose di allora, dichiarazioni via via stemperatesi fino a indicare oggi che il quadro deve ancora essere chiarito.
Che cosa faranno gli eurodeputati del partito di Meloni è importante da vari punti di vista. Von der Leyen si muove su un crinale abbastanza stretto: non cerca un accordo “strutturale” con Ecr, che se ci fosse farebbe saltare la maggioranza di partenza, ma un dialogo – in sostanza un’intesa – con una parte di esso, segnatamente con gli italiani considerati a torto o a ragione diversi rispetto agli altri due gruppi a destra del Ppe di conio recente, i Patrioti per l’Europa (Patriots) con 84 seggi (ne fanno parte Lega, Rassemblement National di Le Pen, Vox, Fidesz di Orban, il Partito della libertà austriaco Fpö, probabile vincente alle elezioni nazionali a settembre) ed Europa delle nazioni sovrane (Ens) con 25 seggi (i tedeschi di Alternative für Deutschland sono 14). L’Ecr, che conta 77 seggi, ha perso un pezzo (i deputati della formazione nazionalista estrema Vox), non è più il terzo gruppo parlamentare, tuttavia può risultare intensificato il suo peso politico perché una parte dei componenti viene considerata da alcuni più vicina al conservatorismo europeo che non alle posizioni di estrema destra sovranista tipiche dei “Patriots” e di Ens.
Ultimamente si sono espressi a favore di von der Leyen i tre deputati del partico civico del premier ceco Fiala e anche i nazionalisti della Nuova alleanza fiamminga (N-VA) indicano che le ultime mosse di von der Leyen vanno nella direzione giusta. Entrambi i partiti fanno parte di Ecr, gruppo che visti i movimenti in corso ha dato agli europarlamentari “libertà di voto”. Non a caso. Fino a qualche giorno fa 6 deputati francesi dei Républicains e i deputati del partito socialdemocratico sloveno (Ppe) si collocavano però sul fronte opposto. I sei liberali irlandesi non voteranno von der Leyen a causa del sostegno a Israele nella guerra in corso a Gaza. Toverà però consensi tra i Verdi che in questi giorni hanno negoziato parti ritenute importanti del documento programmatico von der Leyen e aspirano a partecipare ai processi decisionali Ue arrivando così al paradosso che cinque anni fa votarono contro l’ex ministra tedesca, che lancia in resta apriva la fase radicale del Green Deal, e ora la sosterrebbero (almeno una parte del gruppo) proprio quando è in corso una frenata targata sempre von der Leyen. Il vantaggio del gruppo dei Verdi è che tendenzialmente sono un gruppo compatto.
Questa dei Verdi sarebbe la vera novità politica. Indica una fonte parlamentare che il sostegno a von der Leyen da parte loro si spiegherebbe con la necessità di “mantenere la profondità della frenata sulla rivoluzione industriale ambientalista entro limiti minimi”. Si sceglie il bicchiere mezzo pieno, non il bicchiere mezzo vuoto. Fino a dove si spingerà von der Leyen per godere dell’appoggio dei Verdi si vedrà giovedì mattina nell’esercizio di equilibrismo che è atteso sarà il suo documento programmatico. Perché è noto che una parte consistente del Ppe, circa due terzi, ha votato ultimamente sui dossier del Green Deal proprio con la destra più estrema e sovranista e la piattaforma del partito popolare parla dell’estremismo ambientalista negli stessi termini in cui ne parla quel fronte.
In parte tutto questo è teatro in parte no. Nei negoziati tra von der Leyen e le parti politiche c’è spazio anche per la rappresentanza degli Stati nella nuova Commissione e su questo il governo italiano ha indicato pubblicamente di giocare la sua vera partita, persa quella del ribaltone politico degli assetti in Parlamento al momento del voto Ue. Ci si interroga su come voteranno i deputati di Fratelli d’Italia partendo dal dato di fatto che Meloni al Consiglio europeo si è astenuta su von der Leyen. L’astensione in parlamento vale di fatto come voto negativo. Un voto diverso da quello della Lega (che voterà contro von der Leyen) potrebbe avere conseguenze interne almeno sull’umore tra gli alleati di governo (scontato che Forza Italia voterà la tedesca). Il voto di FdI viene considerato da alcuni come la cartina di tornasole del movimento del partito di Meloni verso il conservatorismo classico europeo, cosa tutta da dimostrare comunque.
Gioca infine a favore di von der Leyen il contesto politico europeo contraddistinto da prospettive di instabilità politica in Francia, fragilità della coalizione tedesca: le due cose insieme implicano il “motore” franco-tedesco, che è sempre stato decisivo per la Ue, sostanzialmente imballato, incapace di guidare una fase politica interna e internazionale molto difficile con due guerre in corso (Ucraina e Gaza), uno scontro commerciale aspro con la Cina e forse una seconda amministrazione Trump in arrivo. Il caso Orban, che si muove più come un antagonista dell’attuale quadro politico europeo che non come un suo protagonista, è emblematico. Tale contesto dovrebbe favorire una maggiore fedeltà dei gruppi parlamentari pro von der Leyen, che non è amata anche per il modo verticistico, autoritario e ambiziosamente competitivo rispetto alle altre istituzioni Ue con cui ha gestito la Commissione, e tuttavia avrebbe il pregio del noto rispetto all’ignoto. Tra l’altro, le crisi multiple a ripetizione (dal Covid alle guerre) hanno esaltato il ruolo della Commissione europea. Si spiega anche così l’inclinazione positiva dei Verdi verso di lei, partito che insieme con i liberali è stato il grande perdente del voto Ue. E forse si spiega così anche il voto schiacciante a favore di Metsola presidente dell’Europarlamento (votata dalla gran parte degli eurodeputati italiani).
Il voto su von der Leyen, se effettivamente passerà al vaglio parlamentare (in definitiva il voto sarà segreto), conclude la prima parte del calcio di inizio del gioco della nuova legislatura. La seconda parte riguarda la formazione della nuova Commissione e le audizioni dei designati in Parlamento che alla fine si pronuncerà con un voto all’intera Commissione. Le audizioni sono un test non facile e almeno uno o due designati “saltano”, nel senso che vengono bocciati. Una graticola politica che nessuno può considerare una strada in discesa. Un altro fattore di cui tenere conto è che la maggioranza parlamentare che dà il via libera alla presidenza della Commissione è cosa diversa dalle maggioranze che via via si formano sui testi legislativi, che alla fine sono quelli che concretamente contano per valutare il segno politico di una legislatura. E questo vale anche per il Consiglio europeo da un lato e per i Consigli “ministeriali” dall’altro lato (sono i co-legislatori di parte governativa).