Ha senso, è corretto, è utile che un’americana, riconosciuta esperta di analisi economica e politica di concorrenza diventi capoeconomista presso la direzione generale della Concorrenza europea? È su questo dilemma che si sta consumando un caso alquanto curioso scoppiato in questi giorni, un caso che tocca corde sensibili in tempi in cui il tema della sovranità europea (non solo di quella nazionale variamente praticata e narrata) è al centro delle scelte strategiche della Ue. Qualche giorno fa la Commissione europea ha nominato Fiona Scott Morton capoeconomista della direzione generale della Concorrenza, l’Antitrust Ue che ha il compito precipuo di garantire il corretto funzionamento della concorrenza, di dare l’autorizzazione alle fusioni e di indagare (e decidere se necessario salate sanzioni) sugli abusi di posizione dominante da parte delle imprese che operano nel territorio dell’Unione, comprese quelle statunitensi e compresi i colossi digitali compresi.
Scott Morton, 56 anni, ha un’esperienza accademica di indubbio valore, ha una profonda conoscenza delle dinamiche di mercato e dei quadri normativi. Tra il 2022 e il 2012 è stata al Dipartimento di giustizia Usa per occuparsi di concorrenza come “chief economist”. Curriculum d’eccezione, dunque. In un recente lavoro accademico ha approfondito il tema del modo in cui gli Stati Uniti potrebbero far rispettare meglio le leggi antitrust contro Google e Facebook; ha pure diretto il comitato Usa che ha prodotto un rapporto sulle implicazioni della concorrenza delle piattaforme digitali. Niente da dire, senonché il caso è diventato subito politico, ha suscitato scandalo in Francia, innanzitutto.
“La regolamentazione digitale è una questione chiave per la Francia e per l’Europa. Questa nomina merita di essere riconsiderata dalla Commissione”, ha dichiarato la ministra degli esteri Catherine Colonna. I capigruppo al Parlamento europeo del partito popolare, dei socialdemocratici, dei centristi/liberali e dei verdi hanno scritto alla Commissione chiedendo di “annullare la decisione”. “In un momento in cui le nostre istituzioni sono sottoposte a un attento scrutinio di fronte alle ingerenze straniere, non capiamo perché si prendano in considerazione candidati extraeuropei per una posizione così strategica e di alto livello”, hanno scritto in una lettera datata venerdì alla responsabile antitrust Margrethe Vestager.
Tra le preoccupazioni, le consulenze con gruppi importanti. Già a maggio alcune organizzazioni della società civile europea in una lettera alla Commissione citavano Apple, Amazon, Microsoft, Sanofi e Pfizer, mettendo in guardia da “potenziali conflitti di interesse”.
La Commissione europea tiene il punto: la portavoce indica che “la decisione è stata presa, non vediamo alcun motivo per riconsiderarla”. E, in ogni caso, nel tentativo di relativizzare il caso, aggiunge: “Non si tratta di un ruolo nel quale si prendono decisioni, è un posto di consigliere”, ciononostante Scott Morton “non sarà coinvolta in dossier sui quali ha lavorato o di cui ha avuto conoscenza nel suo lavoro precedente”.
La questione è controversa soprattutto perché emersa in un periodo in cui la Ue è impegnatissima nel contrasto della posizione dominante di gruppi americani in diversi ambiti, fa dell’autonomia e della “sovranità europee” il cardine delle sue strategie. Bruxelles rivolta la frittata: “L’assunzione di un’esperta riconosciuto in questioni economiche e di concorrenza di nazionalità non europea dimostra che la Commissione cerca soprattutto di fondare le decisioni sulla migliore esperienza possibile e questo è un segnale di competenza e apertura”.
È un argomento che ha una sua validità. Scott Morton è cittadina Usa e, stando alle informazioni raccolte da diversi media, ha un passaporto britannico. C’è stata la Brexit e non conta. È inusuale che la scelta per una posizione “senior” non ricada su una cittadina Ue. In effetti, è una prima assoluta, almeno che riguardi un cittadino americano. Tuttavia è una scelta preparata da tempo, almeno come ipotesi: il bando per la candidatura 2023 non conteneva il requisito della cittadinanza di un paese Ue contrariamente al bando del 2018 per la stessa posizione.
In linea di principio, qualsiasi chiusura nazionalistica – pure allargata alla scala dell’Unione europea – potrebbe quantomeno andare a detrimento della competenza. In fatto di apertura a professionisti non nazionali ai vertici delle amministrazioni, viene in mente il caso del canadese Mark Carney, diventato dal 2013 al 2020 governatore della Banca d’Inghilterra: caso diverso però, dato che il Canada fa parte del Commonwealth. I nessi tra i due paesi sono strettissimi e comunque si tratta pur sempre di un reame indipendente sotto corona britannica. Certamente, Carney ha servito gli interessi della Banca d’Inghilterra. Il caso Scotto Morton è molto diverso: tra l’altro, la concezione e la pratica antitrust degli Stati Uniti sono diverse da quelle dell’Unione europea. È evidente che l’esperienza professionale di Scott Morton può tornare utile proprio nel momento in cui l’Antitrust europeo tratta sempre più le questioni di concorrenza che riguardano i gruppi tecnologici americani. E la sfida industriale tra le due aree si fa sempre più intensa. Però, se poi l’economista americana non potrà occuparsene per via del suo lavoro precedente un tale vantaggio risulterà sfumato.
Una chiusura preconcetta (autarchica) verso chi non è cittadino Ue non garantisce di per sé che una scelta di nomina sia positiva. Quella di “chief economist” è una posizione creata per rafforzare l’analisi economica delle politiche antitrust secondo un approccio dinamico globale, per il quale sono necessarie competenze e capacità di livello tale da poter competere, appunto, con soggetti istituzionali (stati) e interessi (grandi multinazionali) di rilievo internazionale. Il “giro”, il mercato di una professione del genere è globale, non solo continentale. Tuttavia è doveroso oltreché legittimo chiedersi come mai non sia pervenuta a Bruxelles una candidatura europea, diciamo così, imbattibile dal punto di vista professionale. Scarsissimo il numero di candidati: undici. Non certo un successo per un’Europa che si dichiara “sovrana” un giorno sì e l’altro pure.