Non c’è “bank run” in Europa, fuga dagli sportelli. Ma c’è una forte turbolenza, una forte pressione di vendite di titoli bancari che semina molta tensione. Si carica su Deutsche Bank, fra le prime cinque banche europee però con un valore della capitalizzazione in Borsa a fine 2022 molto distante da quella delle grandi banche globali e pure da molte grandi europee. Non sono esauriti i brividi dopo il crollo di SVB e Signature Bank negli Stati Uniti e il salvataggio di Credit Suisse salvando gli azionisti ma azzerando le obbligazioni “additional tier 1” per 16 miliardi di franchi svizzeri (soluzioni legalmente impossibile nella Ue). Questo è lo scenario nel quale i capi di stato e di governo dell’area euro si sono confrontati oggi con Christine Lagarde per la Bce e Pascal Donohoe per l’Eurogruppo.
È stato un faccia a faccia, domande e risposte battenti fra i primi i secondi: i primi alla ricerca di rassicurazioni sullo stato delle banche europee, i secondi pronti a darle con dovizia di particolari. E la conclusione è stata questa: il sistema bancario dell’area euro (e più in generale dell’Unione europea) è solido per posizioni patrimoniali e condizioni della liquidità. In più la Bce ha a disposizione una serie di strumenti per fronteggiare “enormi” esigenze di liquidità come hanno dimostrato gli anni in cui l’obiettivo era evitare la deflazione o fronteggiare crisi epocali come è stato il caso della pandemia a suon di acquisti di titoli sovrani. C’è pure lo strumento per evitare crisi di fiducia verso qualche paese, lo scudo antispread. Inoltre, qualche giorno fa Lagarde ha annunciato che è sempre possibile inventare nuovi strumenti per sostenere la liquidità delle banche.
Tutto vero, cionondimeno la preoccupazione dei governi è molto alta. Mentre procedeva la discussione sulla situazione dell’economia e sui rischi derivanti dalle turbolenze dei mercati, il premier lussemburghese Xavier Bettel compulsava frequentemente l’andamento dei titoli bancari in Borsa, primo fra tutti il titolo Deutsche Bank, ai minimi. Non ci sono novità nei messaggi dei capi di stato e di governo. Tutti si sono affrettati a sostenere la stessa linea: banche solide, autorità pronte a intervenire se necessario, stretto monitoraggio della situazione. Ogni leader ha ripetuto la stessa cosa per il proprio “territorio” e per la situazione europea. Innanzitutto il cancelliere tedesco Scholz, visto il crollo borsistico di Deutsche Bank.
Non ci sono state critiche verso la Bce per la rapidità con la quale ha proceduto all’aumento dei tassi di interesse dallo scorso luglio: 350 punti base in nove mesi e ciononostante l’inflazione è ancora molto alta. Eppure qualche responsabile di governo una critica a Lagarde non l’ha risparmiata nel recente passato (compreso esponenti del governo italiano). E ancora ieri il presidente dell’autorità bancaria europea (Eba) José Manuel Campa ha detto che tassi di interesse più alti “non sono necessariamente positivi in generale per le banche, dipende dal modello di business e dalla capacità di rivalutare gli asset”. Mentre il banchiere centrale greco Yannis Stournaras, confermando la tesi per cui è sconsigliabile un ulteriore forte e rapido aumento dei tassi (in linea con quanto pensano molti suoi colleghi compresa la presidente Lagarde), ha ricordato come “una crisi finanziaria possa diffondersi molto rapidamente come un incendio in un buco, per cui occorre stare attenti”. Oggi si fa quadrato.
Il messaggio politico dei responsabili politici europei è sintetizzabile così: calma e gesso. Le premesse affinchè il sistema bancario resista alle turbolenze borsistiche sulla carta ci sono, tuttavia sono emersi chiaramente due problemi. Il primo è che si è sicuri che le turbolenze non finiranno questa settimana. “C’è un po’ un’atmosfera da ‘a chi tocca la prossima volta?”, sintetizza una fonte europea a conoscenza con le discussioni dei leader. Oggi si aspetta la chiusura di Wall Street. Non si escludono prossimamente messaggi, dichiarazioni, financo interventi coordinati tra banche centrali dovessero esserci seri segnali di contagio persistente. La cosa certa è che a Bruxelles si parla espressamente di braccio di ferro tra autorità e speculazione. Si mette l’accento sulle operazioni di “short selling”, vendite allo scoperto di titoli non posseduti con riacquisto successivo: se il prezzo di riacquisto risulterà inferiore al prezzo di vendita è un successo, se risulterà superiore può essere una mazzata.
Il segnale che arriva dall’Euro Summit e dalla Bce è che ci sono tutti gli strumenti per resistere a questa ondata e che in ogni caso le regole europee prescrivono che se una banca europea dovesse cadere, grande o piccola che sia, non finirà come Credit Suisse: “Non è la Svizzera che fissa gli standard per le banche dell’Unione europea”, aveva detto Lagarde all’Europarlamento lunedì. Gli obbligazionisti, dunque, possono fidarsi.
Tuttavia, la preoccupazione per come possono mettersi le cose resta alta. E qui si arriva al secondo problema: l’unione bancaria è ancora una “Incompiuta”. Nove mesi fa i ministri finanziari dell’area euro avevano concordato di rafforzarne alcuni aspetti tra cui l’armonizzazione dell’uso dei fondi nazionali nazionali di garanzia e delle norme sull’insolvenza; la garanzia di flessibilità per facilitare l’uscita dal mercato delle banche in dissesto; l’estensione degli strumenti di risoluzione nella gestione delle crisi anche per le banche di piccole e medie dimensioni. Ancora non ci sono le proposte normative. Di qui il richiamo a chiudere questa partita legislativa all’inizio del 2024 prima dello stop per il voto europeo (cioè della fine della legislatura). Resta in ogni caso fuori dal tavolo il sistema unico di garanzia dei depositi bancari e non è un segno di forza e lungimiranza: il negoziato tra i governi è bloccato da anni perché rimanda a un’intesa sul trattamento del debito sovrano nazionale detenuto dalle banche che si è rivelato un ostacolo finora insormontabile. È uno dei tanti risvolti originati dall’esistenza di un elevato debito pubblico in diversi paesi europei, in primo luogo dell’Italia.
Un altro capitolo aperto riguarda il Mes, Meccanismo unico di stabilità. Non è un caso che il presidente dell’Eurogruppo Donohoe, persona molto cauta che non tira in ballo argomenti spinosi se proprio non ve n’è costretto, abbia voluto dare un messaggio esplicito all’Italia ancor prima dell’inizio dell’Euro Summit ricordando la necessità di ratificare il trattato emendato. L’accordo all’Eurogruppo venne raggiunto nel lontano gennaio 2021 e ora manca l’Italia per completare la ratifica. Roma è stata messa alle strette proprio in seguito ai sobbalzi dei mercati e delle tensioni sulle banche: il Mes, infatti, sarà il salvagente finanziario di ultima istanza per la risoluzione non bastassero le risorse nazionali. Non c’è più tempo per traccheggiare. La premier Meloni non ha risposto nel merito al messaggio del presidente dell’Eurogruppo, riproponendo la tesi secondo cui il Mes non è poi così importante. Volendo usare l’arma della non ratifica per guadagnare posizioni su altri negoziati: dalla riforma del patto di stabilità alla flessibilità sui fondi europei e sugli impegni del Pnrr. Solo che essendo l’Italia la sola a non aver ratificato il trattato Mes potrebbe trovarsi in una posizione non poi così comoda.