La conferma che la Bce procederà a passi molto felpati e manterrà la politica monetaria espansiva ancora a lungo nonostante una spinta inflazionistica – prossimamente in ulteriore aumento – destinata a durare più a lungo rispetto a quanto previsto, consolida lo spazio politico a disposizione dei governi Eurozona per riformare le regole di bilancio. D’altra parte i binari della prima e dei secondi devono continuare a procedere paralleli com’è logico che sia: sia pure con minore intensità e con un maggiore grado di precisione nel 2022 la politica di bilancio nell’unione monetaria resterà espansiva. C’è un altro elemento fondamentale che farà la differenza sia per l’intensità e per la durata dell’aumento dei prezzi sia per il sostegno degli Stati all’economia: come ha indicato Christine Lagarde, nel breve periodo le strozzature dal lato dell’offerta e l’aumento dei prezzi dell’energia “sono i principali rischi per il ritmo della ripresa e le prospettiva di inflazione”. Si tratta dell’eredità più pesante – e non prevista almeno nelle dimensioni attuali – della pandemia, un’eredità che permarrà: le prime almeno fino alla seconda metà del 2022, il secondo ancora più a lungo a causa dell’accelerazione del ridimensionamento forzato dell’uso dei combustibili fossili per raggiungere gli obiettivi pro clima.
I governi hanno dunque circa un anno per riformare il patto di stabilità e ancorare sulla base di nuove regole – o regole aggiornate – la linea praticata dall’inizio della crisi quando, contrariamente a quanto avvenuto durante la crisi finanziaria di dieci anni fa, il solo vero “gioco in città” è stato quello della Bce (con lo scivolone di un improvvido aumento dei tassi di interesse sotto la guida del francese Trichet). Lagarde insiste su un punto: “Per sostenere la ripresa misure di bilancio mirate e coordinate dovrebbero continuare ad affiancare la politica monetaria”. La sfida per i governi è proprio questa: come dare un assetto solido al ruolo di politica di stabilizzazione economica a livello aggregato dell’area monetaria. Uscendo definitivamente dalla trappola di poter realizzare solo con il contagocce un sostegno agli investimenti quando è necessaria invece una spinta decisa, ciò che il patto di stabilità relega ai margini. Il vero negoziato sulle regole di bilancio non è ancora scattato: in via preliminare i governi stanno elaborando le loro proposte (sarebbe molto interessante che nella messe di “paper” in gestazione ce ne fosse uno anche del governo italiano) e nella riunione dell’Eurogruppo dell’8 novembre ci sarà soltanto un “giro di tavolo” preliminare più per definire il tracciato del confronto che non entrare nel merito. La discussione vera avverrà nei primi mesi del 2022 sulla base di una proposta della Commissione che, per non scoprirsi, ha solo “chiamato” i contributi degli Stati per non andare allo sbaraglio. In quel momento, se la Bce, i governi, l’Ocse, il Fondo monetario non sbagliano valutazione, il contesto economico non sarà molto diverso dall’attuale.
Recentemente, da un organismo come il Meccanismo europeo di stabilità è arrivata, nella forma di un contributo di analisi, l’idea di continuare a considerare il riferimento per il deficit al 3% del pil ma di elevare il parametro di riferimento per il debito al 100% del pil invece che al 60% attuale, con una regola sulla spesa ferrea, e di dotare l’Eurozona di uno strumento di stabilizzazione (una sorta di bilancio comune): dimostra che i tempi per soluzioni chiare e coraggiose sono più che maturi. Tuttavia, cambiamenti di questo genere implicheranno anche dei vincoli più stringenti per gli Stati: lo stesso Mes non a caso indica la necessità di legare il sostegno finanziario Ue al preventivo rispetto delle regole di bilancio (nuove) o di stringere la condizionalità dell’apporto europeo. D’altra parte questa è, appunto, la condizione per avere politica monetaria e politica di bilancio dell’area euro in sintonia.
Se si esce dalla logica dei “compiti a casa” ed esiste uno strumento di stabilizzazione economica, la Bce sarebbe sgravata di una parte della responsabilità della tenuta dell’economia. L’unico modo per evitare che la Bce possa essere soggetta alla cosiddetta “dominanza fiscale” a danno della sua indipendenza rispetto ai governi – uno degli argomenti principe dei critici della politica monetaria degli ultimi anni a partire dalla Bundesbank – è proprio creare una capacità di bilancio centrale permanente che, come hanno indicato recentemente Marco Buti (capo di gabinetto del commissario all’economia Paolo Gentiloni) e l’economia Marcello Messori, “consentirebbe di raggiungere un orientamento di bilancio adeguato e un ‘policy mix’ più equilibrato” che supererebbe quel rischio. In sostanza, a spingere nella direzione di un’unione monetaria completa dovrebbero essere i più ortodossi in politica monetaria.