Ufficialmente riaperto dopo un anno e mezzo il cantiere della riforma delle regole di bilancio (congelato nel marzo 2020) ci si interroga su natura e tempi delle discussioni tra i governi che cominceranno molto presto: già nella prossima riunione dell’8 novembre all’Eurogruppo ci sarà “un primo giro di tavolo” per decidere come procedere. Il vero negoziato avverrà più avanti, i prossimi tre mesi serviranno ai governi per mettere a punto le posizioni di partenza. D’altra parte una proposta precisa ancora non c’è: è attesa la prossima primavera se non ci saranno sbarramenti in corso d’opera. In primavera la Commissione definirà il quadro di riferimento per preparare le leggi di bilancio 2023, e il confronto tra i governi su questo durerà qualche tempo. Sicuramente entro l’anno una decisione sul “che fare” del patto di stabilità dovrà essere presa dato che resterà in frigorifero per tutto il 2022 e, allora, tutte le economie avranno abbondantemente recuperato il pil perduto con la pandemia. Hanno un bel dire i “frugali” e i loro nuovi alleati che il ritorno alle regole e la loro riforma sono argomenti separati: è una visione totalmente irrealistica.
I perni del negoziato sono essenzialmente tre: stabilire che certi investimenti, segnatamente nella transizione verde, avranno quella che il commissario Gentiloni chiama “corsia preferenziale” – di fatto la cosiddetta “golden rule”; definire i principi di un percorso di riduzione del debito che non contraddica l’esigenza di sostenere la crescita dato che le regole in vigore rendono ciò impossibile a meno di non applicarle; assicurare un modo (uno strumento) per stabilizzare le economie sulla scia dell’operazione anticrisi di Next Generation EU. Tutti e tre i temi sono sensibili, divisivi perché chiamano in causa il grado di fiducia tra gli Stati. Il rischio che si riacutizzino i classici contrasti Nord-Sud, temporaneamente accantonati ma non superati nella pandemia e da Next Generation EU, è più che reale e già ve ne sono le avvisaglie.
Nell’ipotesi minimalista, alla fine se ne uscirà con un accordo su regole di riferimento per i deficit pubblici semplificate (con una specifica sulla spesa) e una estensione della flessibilità agli investimenti nella transizione ecologica/digitale. Rimandando scelte più radicali di modifica della legislazione all’anno prossimo. Si rientrerebbe nella classica area dell’interpretazione dell’interpretazione delle regole attuali che aprirebbe sì spazi, ma troppo ai margini del necessario. Non va sottovalutata l’impressionante dimensione degli investimenti annuali necessari nei prossimi anni: 650 miliardi all’anno solo per la transizione verde e digitale al 2030. Non si realizzeranno senza una forte e costante spinta pubblica. Proprio questa esigenza, che “incombe” su tutti come ha ricordato il commissario Gentiloni, potrebbe fare davvero la differenza nel negoziato.
I ministri finanziari dovranno mettersi d’accordo innanzitutto sull’obiettivo politico che intendono porsi a breve (entro il 2022 per gestire il 2023) e a medio periodo. Poi sugli strumenti relativi da utilizzare: modifica regole o comunicazione interpretativa della Commissione. Inquadrare in un senso o nell’altro la discussione ne delineerà le potenzialità e i limiti. Per questo ora l’attenzione si sposta sulla riunione di novembre dell’Eurogruppo.