Momento Merkel, altro che momento Hamilton. E lo si capirà meglio lunedì 29 giugno quando il presidente francese Macron andrà alla cancelleria a Berlino per fare il punto sul negoziato per il piano anticrisi europeo. La negoziatrice in capo è proprio Angela Merkel, che da primo luglio sarà la presidente di turno dell’Unione europea. E più che mai questa volta il risultato della difficile trattativa tra gli Stati su bilancio 2021-2027 e Next Generation Fund con il Recovery Fund al centro finanziati con la più grande emissione di bond comunitari mai concepita, sarà chiaramente il riflesso della sua capacità di leadership. Piaccia o meno, nessuna presidenza di turno dell’Unione può ambire di fatto a tanto, ma è evidente che tutta l’attenzione è rivolta alle mosse di Berlino. I 27 cercheranno di chiudere la partita il 17-18 luglio, quando si riuniranno fisicamente a Bruxelles dopo una lunga serie di videoconferenze. Tuttavia si profila l’ipotesi di un allungamento a domenica 19, se non il rinvio a una riunione successiva entro fine mese. Di momento Hamilton aveva parlato qualche tempo fa il ministro delle finanze tedesche Scholz, riferendosi alla sterzata di uno dei padri fondatori degli Stati Uniti che nel 1790 trasformò il debito dei 13 Stati in debito pubblico del nuovo Stato federale.
“Merkel reloaded” è un termine che si sente sempre più spesso nei “corridoi comunitari” (attualmente quasi sempre virtuali). Merkel ricaricata, con un ruolo nell’Unione sempre più marcato dopo le difficoltà politiche interne e il cambio della guardia annunciato alla guida della Cdu in seguito al fallimento di Annegret Kramp-Karrenbauer. Difficoltà che si erano inevitabilmente riflesse anche in sede europea. Poi c’è stato il netto peggioramento delle relazioni tra Europa e Stati Uniti, che sul versante commerciale – ma non solo come mostra la difficile convivenza nel quadro Nato – spesso sono essenzialmente un problema Usa-Germania. E poi c’è stata la pandemia. Eventi che possono essere fronteggiati solo con un sforzo di leadership, che implica assunzione di responsabilità in una dimensione collettiva.
Pressata dalla distruzione di produzione su scala globale e nazionale, dal blocco delle forniture di beni importati da un lato al blocco dei mercati consumo dall’altro lato, la Germania si è resa conto presto di avere tutto da perdere da una futura ripresa a macchia di leopardo in Europa, lasciando ogni governo più o meno da solo a fronteggiare scelte e costi della crisi. Naturalmente ci ha provato, poi ha dovuto sterzare. Va ricordato che la Germania è il principale “attivatore” del valore aggiunto italiano visto il volume dei beni intermedi italiani incorporati nei beni finali tedeschi (un quarto di quanto esporta l’Italia nelle economie del G10 è diretto in Germania). Lo scenario è stato molto diverso da quello della crisi del debito sovrano (e della Grecia) di dieci anni fa: tutto sommato rapidamente, almeno per i tempi di decisione cui Merkel aveva abituato tutti a casa e all’estero, la cancelliera si è spostata su posizioni impensabili fino a poco tempo prima. Prima c’è stato lo stop del patto di stabilità. Poi c’è stato chi ha forzato in un certo modo la mano. Per esempio, ha smosso non poco la lettera di 9 leader a fine marzo promossa dall’Italia e firmata anche da Macron e non da Merkel (è comunque difficile che la cancelliera non sapesse nulla di quanto si stava cucinando all’Eliseo). Si parlava di “uno strumento comune di debito emesso da una istituzione europea”, anche se nel dibattito pubblico italiano si pontificava sull’Eurobond che è cosa un po’ diversa. Un mese e mezzo dopo il patto franco-tedesco su 500 miliardi per sovvenzioni a fondo perduto agli Stati più colpiti dalla crisi da raccogliere sul mercato, la prima idea di Recovery Fund da qui poi è nata per estensione (e furbizia negoziale) la proposta Next Generation Eu da parte di von der Leyen.
Nessuno è in grado di prevedere quale sarà il punto di caduta del negoziato: le posizioni appaiono ancora divaricate tra il fronte dei “frugali” (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia), il fronte degli “ambiziosi” (Francia, Italia, Spagna e almeno altri 9-10 Stati), il fronte dell’Est, che appare sempre meno coeso, su alcuni aspetti non lontano dalle olandesi (più prestiti, meno sussidi invece dell’opposto, stretta sulla supervisione per controllare che gli aiuti finanziari non siano dilapidati, gli investimenti e le riforme progettati non vengano fatti). Per i “frugali” è già pronto il via libera al mantenimento dello sconto si contributi nazionali al bilancio europeo (peraltro anche la Germania vuole tenerselo ben stretto). Per l’Est si tratta sulla dotazione di bilancio per la coesione. È però incerto il volume finale dell’intera operazione a “due teste”: il bilancio pluriennale di 1.100 miliardi e il piano per la ripresa da 750 miliardi di cui un terzo prestiti, due terzi sussidi.
Molte altre domande non possono essere evase: fino a quando durerà lo stop delle regole del patto di stabilità? Si ripresenterà e se sì quando il problema dell’indebitamento elevatissimo in diversi Paesi, Itali in primo luogo, in termini che possono spingere verso la sfiducia se non verranno fatte nel tempo politiche accorte? I radar sono per ora puntati sulla rete di sicurezza stesa dalla Bce che fino giugno 2021 prevede di mantenere la mano forte sui mercati con gli acquisti di titoli sovrani. In autunno ci sarà una prima verifica della situazione in Commissione e poi all’Eurogruppo. Von der Leyen ha appena proposto che nel 2021 siano disponibili tra nuovo bilancio Ue e piano antipandemia 378 miliardi più 133 miliardi di prestiti agli Stati. “Cifre davvero straordinarie per il bilancio dell’Unione, d’altra parte viviamo in tempi straordinari”, dice il commissario al bilancio Hahn. Metà del Next Generation Eu proposto per 4 anni; poco meno di metà del valore del bilancio Ue per 7 anni. Si aggiungano i 540 miliardi dei prestiti del Mes, per il sostegno alle casse integrazioni nazionali e della Bei per le piccole e medie imprese già disponibili quest’anno e pure gli “spiccioli” del Recovery Fund sempre per quest’anno, 11,5 miliardi. Non è poca cosa.
Per la prima volta la politica economica e di bilancio della Ue si allinea alla politica monetaria della Bce: è sempre stato il punto di debolezza della costruzione monetaria. Altre domande riguardano la gestione politica dell’unione monetaria. Da un lato non ci sarà effettivamente un momento Hamilton perché non è sul tavolo la condivisione del debito passato (anzi viene negata in radice). Certamente, l’emissione comune di bond anticrisi è eccezionale, temporanea e secondo alcuni dovrebbe essere di molto limitata. Però condividere debito per una missione comune futura è un precedente dal quale si potrà sempre partire dovesse consolidarsi quella fiducia reciproca tra governi, tra Stati finora un bene raro nel mercato unico.