Può costituire un vantaggio per il governo italiano, alla disperata ricerca di un compromesso che tenga insieme la coalizione, la notizia che il governo francese ha deciso un obiettivo di deficit/pil nel 2019 al 2,8% in rialzo rispetto all’ultima previsione del governo che era 2,4%? Sulla carta sì, in nome della vecchio adagio ‘mal comune mezzo gaudio’. In effetti, per la Commissione è più facile temporeggiare, valutare in modo più discrezionale possibile, privilegiare le esigenze politiche rispetto alle aride cifre, se a non essere in regola si è in diversi, specie se poi c’è di mezzo un Stato membro del calibro della Francia. Tuttavia, è presto per dire come andrà a finire perché l’Italia, al contrario della Francia, ha un debito che è il secondo più alto di quello francese. Quest’anno sarà al 96,4% del pil, mentre quello italiano è al 130,7%.
Che la Francia non faccia poi una gran figura, almeno agli occhi tedeschi, è evidente: solo nel 2017 era riuscita a portare il deficit pubblico sotto la soglia del 3% del pil, dopo nove anni. E, conseguentemente, qualche mese fa era uscita dalla procedura comunitaria per deficit pubblico eccessivo. Ciononostante in tutti questi anni la Francia non è certo stata penalizzata in termini di spread sui tassi decennali, come invece accade all’Italia a ogni stormir di fronte e, peggio, alle irresponsabili dichiarazioni di indifferenza e allergia alle regole europee sui bilanci pubblici. È una differenza non da poco.
I programmi e le dichiarazioni politiche del governo italiano fanno gravare molta incertezza nell’Eurozona e sui mercati già famiglie e imprese ne pagano già il conto in termini di aumento dei costi dei prestiti bancari e sul mercato, come ha spiegato oggi Mario Draghi all’Europarlamento. In Francia non accade niente di tutto questo.
Appare evidente che la contestualità delle difficoltà francesi a tenere un deficit/pil più basso può essere un buon argomento per chiedere spazi di bilancio anche per altri paesi, in questo caso l’Italia, solo se gli impegni bilancio implicheranno target credibili, ragionevolmente lontani, anzi molto lontani, dai livelli francesi. Negli ultimi giorni la Commissione europea non è entrata nel ‘gioco’ italiano: aspetta la nota aggiuntiva del Def e poi il progetto di bilancio entro il 15 ottobre. E poi aspetterà il dibattito e le conclusioni del Parlamento. Si pronuncerà certamente, ma il giudizio definitivo resterà sospeso in attesa del voto parlamentare. C’è naturalmente la teorica possibilità, se i target fossero irricevibili, fuori misura di una richiesta di correzione entro fine ottobre. Non è mai accaduto e non è detto che accadrà.
Il commissario Moscovici ha sempre fatto quadrato sul ministro Tria. Sostenendo di fatto la bontà della “linea 1,6% di deficit/pil”. Nello specifico, Bruxelles ritiene che l’Italia debba garantire un miglioramento del deficit strutturale di almeno lo 0,1% del pil. Praticamente un quinto di quanto in teoria dovrebbe garantire. Se non lo farà emergerebbe una “deviazione significativa” dal percorso di aggiustamento. Fonti comunitarie indicano che “le regole comuni specificano come la deviazione dell’aggiustamento strutturale richiesto dall’Ecofin deve essere inferiore allo 0,5%”. Se l’Italia non rispetterà questo confine, difficile che il caso francese possa aiutarla. Meglio non farsi illusioni.