Con il via libera di principio del Fondo monetario internazionale alla partecipazione al terzo prestito a sostegno della Grecia ci si chiede se perda di attualità per l’unione monetaria l’esigenza di dotarsi di un Fondo monetario europeo oppure no. La questione è all’ordine del giorno da tempo, ma passi politici concreti in tale direzione saranno fatti, se ci sarà il consenso sufficiente, solo verso fine anno. La Commissione ritiene che sia una prospettiva necessaria, ma che i tempi non siano ancora maturi perché le funzioni del Fme, che si baserebbe sull’attuale European Stability Mechanism, dovrebbero essere molto più ampie del semplice salvataggio degli Stati sotto rischio finanziario. La cosa certa è che anche sul piano economico-finanziario l’unione monetaria deve procedere con le proprie gambe dimostrando di non avere bisogno del Fondo monetario internazionale come ‘stampella’ per la credibilità presso i mercati finanziari.
La soddisfazione generale per la decisione politica del Fondo monetario internazionale non può nascondere il fatto che non è ancora chiaro se seguiranno decisioni conseguenti, dal momento che tutto dipenderà se creditori europei (cioè i governi della zona euro) e i vertici dell’organizzazione di Washington troveranno un accordo sull’alleggerimento del debito. La direttrice Fmi Lagarde si è mostrato comunque ottimista. Ma si non può nascondere anche il fatto che l’esborso Fmi ad Atene sarebbe minimo: 1,6 miliardi di euro, circa un quinto dell’ultima ‘tranche’ appena sdoganata dai governi Eurozona, l’1,16% di quanto previsto al massimo dal terzo prestito europeo alla Grecia. C’è anche un terzo elemento da tenere in considerazione: l’eventuale esborso del Fondo monetario internazionale arriverà a pochi mesi dalla fine del terzo programma per la Grecia che secondo le previsioni dovrebbe tornare a finanziare il proprio debito sui mercati nella seconda metà del 2018.
Non è certo dal punto di vista finanziario che la Grecia ha bisogno del miniprestito Fmi. Casomai ne hanno più bisogno i creditori europei, basti pensare che il Parlamento tedesco legò il via libera all’impegno tedesco a condizione che il Fondo monetario internazionale fosse della partita, considerandolo un fattore di garanzia del rispetto dei programmi economici concordati con la Grecia. In condizioni analoghe si trovano Olanda e Finlandia. Il problema non è solo la credibilità finanziaria, quanto la credibilità politica della soluzione finanziaria concordata tra i governi europei e Atene presso i parlamenti di alcuni paesi che hanno digerito a fatica le operazioni di salvataggio.
Se si tiene conto dell’indisponibilità di molti grandi paesi in via di sviluppo e della stessa nuova amministrazione americana a impegnare risorse del Fmi per salvare paesi europei in difficoltà, dato che l’Europa ha mezzi e risorse per farcela benissimo da sola, è evidente che la scelta di creare un Fondo monetario europea è diventata ineludibile. Nello stesso tempo questa prospettiva rafforzerebbe l’unione monetaria, completandone le funzioni e consolidando anche il suo profilo di ‘attore’ finanziario internazionale anche sui mercati.
Il ministro delle finanze tedesche Schaeuble è uno degli sponsor del Fondo monetario europeo come prolungamento del fondo salva-stati Esm guidato dal tedesco Klaus Regling. Ritiene che sia possibile addirittura procedere in tale direzione a breve termine. L’ipotesi non è stata ancora approfondita. Nel documento di riflessione sul futuro dell’unione monetaria, la Commissione europea indica che un Fondo monetario europeo darebbe “più autonomia alla zona euro rispetto ad altre istituzioni internazionali per quanto concerne la stabilità finanziaria”.
L’European Stability Mechanism, “strumento centrale per la gestione delle crisi potenziali nella zona euro” dice la Commissione, dovrebbe essere integrato nel quadro giuridico Ue e assolvere alle funzioni di meccanismo di assistenza di liquidità agli Stati membri come avviene oggi ed eventualmente diventare “il futuro sostegno comune di ultima istanza dell’Unione bancaria”. Non sarà facile se si pensa che l’unione bancaria manca tuttora di un sistema comune di garanzia dei depositi perché non c’è la fiducia necessaria tra gli Stati.
L’evoluzione dell’Esm in Fondo monetario europeo potrebbe facilitare il rafforzamento della ‘governance’ economica e dell’integrazione delle politiche di bilancio. Nella visione tedesca presupposto di tale prospettiva sono la chiarezza delle regole di bilancio e il loro rispetto, non certo l’allontanamento dal quadro attuale di ‘governance’ economica con il complesso sistema del ‘patto di stabilità’.