Un cambiamento di paradigma, ecco la novità del documento italiano sul rafforzamento dell’unione monetaria che si farebbe male a considerare alla stregua di un ennesimo tentativo di sfuggire alla responsabilità di bilancio. Non ci sono indicazioni sulla tabella di marcia, sulle date, però c’è chiara una linea politica, che è molto più di una sommatoria di ‘policy’. Tre i punti di forza – e di sfida – contenuti nel ‘paper’ di nove pagine per affermare “una strategia europea condivisa per crescita, creazione di posti di lavoro e stabilità”. Il primo è una premessa: occorre andare oltre l’attuale ‘policy mix’ dell’azione economica della zona euro e oltre il contributo positivo della politica monetaria della Bce. Secondo: le regole sui bilanci “devono dimostrare la loro adeguatezza a fronteggiare il contesto economico”. Terzo: i meccanismi di condivisione dei rischi sono un pilastro dell’unione economica e monetaria, attenuazione dei rischi e condivisione dei rischi “si rafforzano reciprocamente”, non c’è un prima e un dopo. E le regole comuni devono avere un chiaro obiettivo: “consentire la mutualizzazione”. Non essere un’ossessione fine a se stessa.
Le proposte lanciate dall’Italia sono ciunque: tenere conto dell’andamento dell’inflazione nelle regole di bilancio, creare un meccanismo comune di assicurazione contro la disoccupazione, emettere bond comuni per finanziare la gestione comune delle frontiere, attribuire alla zona euro una ‘capacità di bilancio’ gestita da un ministro delle finanze dell’unione monetaria, fare dell’European Stability Mechanism il perno finanziario di uno stadio di ulteriore integrazione della zona euro. Alcune sono nuove altre no. Di certo, possono essere comprese solo nel contesto di una valutazione della fase che attraversa l’unione monetaria oggi e dei rischi di peggioramento radicalmente diversa da quella prevalente nella Ue. Per questo, il documento italiano si distanzia notevolmente dal rapporto dei 5 presidenti Ue, che resta alla base della riflessione comunitaria sugli sviluppi della zona euro, e dagli altri contributi sullo stesso tema avanzati da vari paesi (la Spagna per esempio, ma anche da ‘paper’ precedenti elaborati da Francia e Germania). Da qualche settimana si sa che per fine anno Parigi e Berlino prepareranno una nuova proposta comune: finora non ci sono segnali che i due governi abbiano avviato una riflessione innovativa sugli orientamenti di fondo della politica economica e di bilancio comune.
Nel documento italiano mancano indicazioni temporali e questo è un limite. Ma non è un caso: prima del voto in Germania e in Francia nel 2017 è infatti impensabile che possano essere prese decisioni di rilievo. Nell’attesa, risulta azzoppata qualsiasi discussione fattiva sul futuro della zona euro. Risultato: mancherà ancora per molto tempo quell’ancoraggio politico-istituzionale che molti ritengono necessario per rilanciare la stesse crescita economica. Non solo: l’appetito per procedere a una nuova fase di condivisione della sovranità è scarso, tra gli azionisti dell’unione monetaria non c’è quella fiducia reciproca che costituisce il collante di qualsiasi unione che si rispetti.
L’idea politica centrale che secondo il governo italiano deve costituire il terreno comune per gli Stati dell’unione monetaria è che tutto, regole, politiche, comportamenti, impegni nazionali, obiettivi, deve ruotare attorno alla capacità dei paesi di condurre riforme per permettere all’economia di uscire dalle secche della “ripresa esitante” evitando il rischio di “restare vulnerabile agli choc” e alla “migliore condivisione dei rischi”. Si tratta di azioni complementari che si rafforzano reciprocamente. Per l’Italia, in sostanza, non funziona più un meccanismo che prevede un prima e un dopo: prima il rispetto delle regole poi tutto il resto. Rilancio comune degli investimenti e responsabilità di bilancio si rafforzano reciprocamente (ecco spiegato perché l’Italia chiede flessibilità sul patto di stabilità). Le riforme strutturali facilitano il riequilibrio sia nei paesi in deficit che nei paesi in surplus. La condivisione dei rischi bancari “contribuisce a ridurre i rischi” bancari stessi migliorando la stabilità finanziaria. Un meccanismo comune di assicurazione contro la disoccupazione serve a fronteggiare gli choc economici che si ripercuotono in modo asimmetrico nelle diverse parti della zona euro rendendola estremamente vulnerabile.
La concezione delle regole è estremamente diversa da quella corrente di matrice tedesca. Dopo oltre quindici anni di unione monetaria funzionante, dopo l’esperienza della recessione da crisi finanziaria, lo scampato tracollo della costruzione della zona euro, di anni in cui ci si è baloccati con stravaganti ossimori come quello dell’”austerità espansiva”, è il momento di chiarirsi. “Le regole di bilancio devono provare di essere adeguate a fronteggiare il difficile contesto economico – è scritto nel ‘paper -. Un quadro disegnato per condizioni normali di crescita e inflazione si è mostrato incapace di affrontare efficacemente l’impatto di una crescita nominale molto bassa sulla crescita potenziale e sulla dinamica del debito. Tali difetti hanno conseguenze nella misurazione degli indicatori di bilancio sui quali si fondano le raccomandazioni di ‘policy’ e devono essere affrontati”.
In sostanza, non si può chiedere ai soli Stati di sostenere l’onere della prova (se e come rispettano il patto di stabilità), ma occorre anche chiedersi se e come le regole reggono in uno scenario economico di inflazione ai minimi storici per anni e anni. Apparentemente l’Italia non chiede modifiche al patto di stabilità: certamente ne mette a nudo le incongruenze.
L’aggiustamento macro-economico deve poi diventare un imperativo categorico: “I surplus di parte corrente molto ampi hanno un impatto negativo sul funzionamento complessivo della zona euro tanto quanto i deficit di parte corrente”. Qui occorre un “approccio cooperativo”. La Germania non è nominata, ma della politica economica tedesca si parla: “La procedura di squilibrio macroeconomico va attuata più efficacemente a questo scopo”. Per inciso, l’Italia è sempre a rischio di una procedura europea per squilibrio macroeconomico a causa del mancato rispetto – finora – della regole di riduzione del debito pubblico.
Quanto alle banche, il governo insiste su un punto: non è vero che sulla riduzione dei rischi si deve partire da zero, ma il fatto che l’unione bancaria sia tuttora incompleta (manca un sistema comune di garanzia dei depositi) costituisce un problema enorme, diventa un boomerang per tutti. La condivisione dei rischi, questa la tesi italiana, è essa stessa un fattore di riduzione dei rischi. Non c’è un prima e in dopo, il processo di riduzione dei rischi deve andare di pari passo con la condivisione dei rischi. Vale per le banche come vale per la penuria degli investimenti, in prospettiva vale anche per le risorse comuni di bilancio. Il documento sorvola sulla specifica questione del ‘bail-in’, non parla della riduzione delle esposizioni delle banche al debito sovrano (su cui preme Berlino). Si limita prudentemente a indicare che l’obiettivo dell’unione bancaria è “preservare la fiducia nel settore” e che gli aggiustamenti nelle aspettative e nel comportamento delle parti alle nuove regole della risoluzione (il ‘bail-in’ appunto) “necessiteranno di tempo”, la loro attuazione “deve essere gestita in modo appropriato per evitare instabilità finanziaria incluso il miglioramento dell’ informazione, della comunicazione, della trasparenza e della valutazione dei rischi” connessi.
Sul futuro ministro del Tesoro della zona euro, non c’è molto di più di quanto indicato dai 5 presidenti Ue. Nella visione italiana sarebbe responsabile delle risorse comuni della zona euro, anche del bilancio specifico per promuovere gli investimenti e fronteggiare gli choc economici asimmetrici. Un ministro del Tesoro che duplichi nella Commissione europea la figura del ‘ministro’ degli esteri. Oggi la rappresentante per la politica estera e di sicurezza Federica Mogherini ha il doppio cappello di commissaria-vicepresidente e rappresentante con il mandato dei ministri degli esteri Ue. In aggiunta, il ministro del Tesoro dell’unione monetaria deve avere un forte legame con il Parlamento europeo.