Il livello di fiducia di business e consumatori a quota 106,1 punti a novembre è il più alto mai raggiunto da maggio 2011. E questo è un fatto positivo, che si inserisce in un contesto in cui alcuni propellenti della crescita economica risultano meno deboli. Ciononostante la cautela è massima per due motivi: nulla è cambiato rispetto a ottobre, il peggioramento delle valutazioni potrebbe essere dietro l’angolo a causa del concatenarsi degli attacchi e della minaccia del terrorismo che possono prolungarsi nel medio periodo e della crisi dei migranti che non esaurirà certo in pochi mesi. Entrambi i fattori stanno portando per la prima volta a forme di chiusura delle frontiere e, dunque, a un rallentamento dei flussi di persone e, inevitabilmente, anche delle merci. Inoltre, i sondaggi europei sulla fiducia nell’economia nulla dicono finora sull’impatto degli attacchi terroristici di Parigi e della stretta per garantire la sicurezza: occorre aspettare fino al 21 dicembre, quando sarà pubblicata la stima flash della fiducia dei consumatori, e al 7 gennaio, quando sarà pubblicato il risultato dei sondaggi effettuati nel business e tra i consumatori paese per paese, settore per settore. Si teme un colpo alle vendite al dettaglio, al turismo e ai trasporti.
Le rilevazioni della Commissione europea, che comunque danno la sola fiducia del business a novembre in leggerissimo calo, e la fiducia di business e consumatori stabile nella zona euro (con qualche problema per il settore manifatturiero), non sono molto significative per la semplice ragione che solo una minima parte delle risposte è stata raccolta dopo il venerdì nero. Per ora nessun centro di ricerca o istituzione se la sente di fare previsioni né prevede di incorporare il terrorismo tra gli eventi il cui impatto può influenzare le stime macro-economiche.
E’ possibile che le spese per il Natale siano spalmate su più settimane partendo in anticipo per evitare i rischi delle giornate di folla negli ultimi giorni. Ciò avrebbe una incidenza importante sulla stima europea flash che misura la fiducia dei consumatori, che sarà pubblicata quattro giorni prima di Natale.
Il commissario Ue agli affari economici Pierre Moscovici ha indicato che “è prematuro avanzare cifre: sappiamo che in questa fase occorre fiducia, resilienza, resistenza al terrore”. Il rischio è che tra i consumatori prevalga la renitenza: renitenza all’idea che non si debbano cambiare abitudini sia per ragioni etiche e politiche (non darla vinta ai terroristi) sia per ragioni economiche: rafforzando gli impulsi deflazionistici, un calo dei consumi indebolirebbe ancor più una crescita che ora la Commissione europea definisce “anemica”).
Per quanto concerne i sondaggi sulle valutazioni di consumatori e business di novembre il ragionamento è molto rapido. Per i consumatori l’ultimo giorno di raccolta delle opinioni a seconda dei paesi è stato fra il 13 novembre e il 17: in termini aggregati Ue/Eurozona la percentuale di risposte raccolte dopo gli attacchi terroristici di Parigi era di circa il 3%. Per le inchieste del business, la percentuale è un po’ più alta: fra il 10% e il 15%. In Belgio il 33% delle risposte è stato raccolto dopo il 13 novembre però prima del 21 novembre, quando è cominciato lo stato di allerta al massimo livello (e con i negozi chiusi). In Francia circa il 10%. In Germania il 33%: la valutazione dell’Ifo Institute sulle risposte del settore della distribuzione al dettaglio è che le tendenze non sarebbero cambiate dopo gli attacchi terroristici.
Moscovici ha richiamato il fattore fiducia rievocando che “in passato in vari paesi ci sono stati attacchi terroristici massicci come a New York, Londra e Madrid è a parte un impatto nel brevissimo periodo si è verificata una ripresa dei consumi e la crescita economica non ha subito colpi”.
L’attacco alle Torri Gemelle del settembre 2001 provocò una perdita di 80 miliardi di dollari, meno dello 0,1% del pil americano. L’impatto sul pil degli attentati dell’11 marzo 2004 a Madrid è stato dello 0,06%. E’ stato calcolato che in media nelle 177 nazioni coinvolte da attacchi del terrorismo transnazionale fra il 1968 e il 2000 la crescita del pil procapite è stata ridotta dello 0,048% su base annuale.
In un articolo pubblicato recentemente sulla rivista Fmi ‘Finance&Development’ viene notato come i costi degli attacchi terroristici siano nettamente superiori nei piccoli paesi o aree regionali delimitate: è stato il caso dei Paesi Baschi per i quali è stato misurato un differenziale di crescita di dieci punti di pil per abitante rispetto alle regioni spagnole comparabili fra gli anni ’70 e gli anni ’90.
Sono tre i modi in cui il terrorismo produce effetti sulle economie: l’effetto psicologico che può deprimere la domanda di beni di consumo, servizi turistici e di trasporto; se la minaccia alla sicurezza persiste, nel medio periodo ci sarebbero un incremento dei costi di assicurazione per il trasporto delle merci e perdite secche fino al rinvio di investimenti e riduzione dei flussi di investimenti dall’estero; infine, il finanziamento delle misure di sicurezza e di prevenzione.
In Europa gli attacchi terroristici e la minaccia alla sicurezza per un periodo che può rivelarsi medio-lungo si affiancano all’arrivo dei rifugiati e degli immigrati economici a flussi di dimensioni epocali (per gli standard europei).
Pur non essendo ancora in grado di produrre scenari fondati su proiezioni affidabili, diversi economisti sono convinti che per ora gli effetti economici negativi della fine delle frontiere aperte nello spazio di Schengen appaiono più evidenti: i controlli, con i conseguenti rallentamenti dei flussi commerciali, saranno generalizzati. Sono generalizzate anche le misure di sicurezza anti-terrorismo, ma la loro intensità è graduata a seconda del paese e variabile. Però, la minaccia terroristica incide a fondo nei comportamenti di consumo specie nelle grandi metropoli.