Per quanto la Commissione europea abbia mostrato una certa ruvidezza nei confronti della Spagna indicando esplicitamente che l’”ottimo allievo” della Troika rischia di non rispettare le regole di bilancio nel 2016, non è un’aria di rigorismo vecchio stile quella che si respira nei ‘palazzi’ europei. Per la Spagna, per esempio, c’è stato sì un mezzo allarme, ma dato che si voterà per le legislative fra due mesi, tutto è rinviato al nuovo governo e solo al nuovo governo toccherà riprendere le carte in mano. Nel caso dell’Italia c’è sì un po’ di rumore sulla questione di principio che riguarda l’abolizione della tassa sulla prima casa, preferita a nuovi forti provvedimenti per sgravare la tassazione sul lavoro, ma non è su questo che ci si scalderà pur senza arrivare a conclusioni di rottura (la richiesta di modificare il progetto di finanziaria, per esempio). La cosa certa è che faticosamente i governi cercano di trovare spiragli per allentare le maglie dell’austerità riuscendoci solo in parte facendo leva sulla flessibilità concessa da Bruxelles. Non si tratta però di grandi spinte all’economia. Data la fragilità della ripresa, anche la Commissione sa che stringere le corde sarebbe un boomerang per tutti.
Rispetto ai casi spagnolo e francese, il caso italiano non sarebbe granchè, dato che contrariamente a Spagna e Francia l’Italia non si trova sotto procedura per deficit eccessivo oltre il 3% del pil, se non fosse che ha molti occhi puntati contro e non solo tedeschi ma anche della Bce. Ciò a causa della difficoltà a far imboccare al debito pubblico la curva discendente, problema che può diventare acutissimo nel momento in cui aumenteranno i tassi di interesse, e a causa della difficoltà a realizzare le intenzioni di ‘spending review’ via via indebolitesi.
Detto questo, la decisione presa dalla Commissione Juncker di dare corda ai governi quando entrò in carica a fine 2014 perché c’era ancora la recessione non cambia adesso che la ripresa è stentata e, come ritengono sia l’esecutivo Ue sia la Banca centrale europea, i rischi di peggioramento delle condizioni economiche sono persistenti.
Ciò non vuol dire che le valutazioni di Bruxelles saranno all’acqua di rose. Nel caso italiano è certo che sarà preso di mira non tanto lo stop alla tassazione sulla prima casa (pealtro secondo le regole vigenti nell’Unione europea e nella zona euro la scelta di chi tassare e chi no appartiene ai governi nazionali) quanto la fondatezza delle coperture della manovra espansiva: devono consistere in entrate certe e non in una tantum se riferite a spese permanenti (come è lo stop alla Tasi). La stima delle entrate fiscali da rientro dei capitali in patria, dei tagli della ‘spending review’ e degli incassi da privatizzazione di per sé sono incerte. Forse prima di un via libera a tutto campo, la Commissione potrebbe indicare la necessità di verificare nei mesi successivi se le ipotesi alla base dei saldi hanno buone possibilità di materializzarsi.
Secondo alcuni osservatori, è destinata ad aumentare la tensione all’interno della Commissione europea tra le funzioni dei responsabili tecnici e i responsabili politici, cioè i membri dell’esecutivo. Le regole del patto di stabilità sono state stirate ai limiti, per cui gli economisti che analizzano le varie leggi finanziarie si interrogano un giorno sì e l’altro pure se stanno applicando le regole sui deficit o se al contrario le stanno violando. Questa tensione percorrerà le discussioni anche questa volta e divide anche gli stessi commissari.
Gestire il ‘tira e molla’ su cifre e impegni non sarà facile, nel peggiore dei casi – escluse bocciature clamorose alla fine di questo mese – ci sarà qualche ‘rimandato’ in primavera o all’estate per verificare se le coperture indicate si realizzeranno davvero, ma non c’è traccia di una stretta.
Da un lato ci sono ragioni cicliche che spingono in tale direzione. Il Fondo monetario internazionale ritiene che complessivamente il rischio di deflazione si è indebolito, ma nella zona euro resta elevato (nel frattempo il tasso annuale a settembre è tornato sotto zero). Recentemente il Fmi ha rilanciato l’allarme sulle banche europee perchè i crediti deteriorati ammontano a mille miliardi di euro, pari a oltre il 9% del pil continentale, oltre il doppio del livello del 2009. Il problema, secondo il Fmi, è particolarmente acuto nell’area sud dell’unione monetaria e in numerosi paesi dell’Europa orientale e del sud-est. In troppo pochi casi, si è riusciti a ridurre le sofferenze al di sotto del picco post crisi. In una fase di rallentamento del commercio mondiale, il peso della domanda e degli investimenti interni sarà decisivo, ma se le banche non investono addio ripresa solida.
Dall’altro lato non si è capito ancora se seguire le politiche di austerità premia i governi oppure no. E’ un fattore di contesto che incide sul tono della discussione politica ai livelli che contano, dall’Ecofin in su. Nel caso della Grecia, Tsipras non ha avuto altra scelta che tornare a Canossa, accettando un accordo con i creditori peggiore dell’ultimo accordo tracciato prima del referendum di fine luglio. Ma il caso greco è troppo atipico per essere preso come modello.
A urne chiuse il 4 ottobre, il Portogallo sembrava aver dato ragione al fronte pro-austerity, ma via via si è scoperto nei giorni seguenti che dopo quattro anni di governo stabile il paese è ora politicamente fragile. Il centro-destra uscente ha ottenuto la maggioranza dei voti, ma ha perso la maggioranza in parlamento per cui il centro-sinistra e due partiti di sinistra radicale che hanno la maggioranza in parlamento tentano di formare una coalizione.
In Spagna si vedrà a dicembre se il popolare Rajoy sposterà l’ago della bilancia verso il piatto del fronte pro-austerità oppure tutto verso il partito socialista e ancora di più verso Podemos.
A fine inverno o inizio primavera si voterà in Irlanda, il vero modello per la Troika. In Irlanda l’austerità è durata sette anni e ora il deficit pubblico è sotto il 3% del pil. Per il secondo anno consecutivo, il governo di coalizione irlandese prosegue con tagli modesti delle tasse e aumenti modesti di spesa. “Non è un bilancio eccessivamente espansionista, ma ci sono passi sensibili e accessibili che rafforzeranno la ripresa e porteranno benefici a ogni famiglia”, ha dichiarato il ministro delle finanze Michael Noonan. Il pil aumenta a ritmi cinesi (6% quest’anno), i prezzi delle case tornano a salire, la disoccupazione cala: tre anni fa era al 15%, ora è al 9,7%.
Un problema con le coperture finanziarie ce l’ha anche la Francia che prevede per il 2016 un taglio di spese di 16 miliardi sui quali ci sono vari dubbi. In valore la spesa pubblica aumenterà nel 2016, ma da quando Hollande è al potere è cresciuta in media di 15,5 miliardi l’anno contro i 35 miliardi fra il 2002 e il 2012.
La posizione francese è sempre molto delicata: il deficit è previsto passare dal 3,8% al 3,3% del pil: l’impegno originario di Hollande era di tornare sotto il 3% nel 2014.