Nel Ventesimo secolo l’Europa è diventata più egualitaria degli Stati Uniti, ma lo Stato sociale è sempre più fragile a causa dell’assenza di una unione di bilancio e a quattro preoccupanti “presenze”: aperta concorrenza fiscale, crisi del debito pubblico, alta disoccupazione con aumento di quella strutturale, nazionalismo dilagante. Per contrastare la stagnazione economica e politica occorre trasformare profondamente l’attuale architettura istituzionale europea e la chiave di volta può essere la costituzione di un parlamento della zona euro, una Camera della moneta unica rappresentativa non eletta, da affiancare all’attuale parlamento. Con un ruolo chiaro: concentrare lì una parte del potere oggi detenuto dai governi. E’ questa la ricetta che l’economista francese Thomas Piketty ha illustrato qualche giorno fa nella ‘tana del lupo’, cioè in una delle grandi sale del Parlamento europeo. Piketty è stato invitato da Progressive Economy, ‘think tank’ sostenuto dal gruppo parlamentare Socialisti&Democratici (Pse). Tutti d’accordo sull’analisi economica, meno sulla proposta politica: il mandato diretto dagli elettori qui a Bruxelles è considerato un punto di non ritorno.
Per molti è stato abbastanza sorprendente osservare Piketty abbandonare il puro terreno dell’analisi da storico dell’economia e scivolare sul terreno della proposta politico-istituzionale. A pensarci bene, però, da tempo e soprattutto con la crisi greca ancora aperta e il rischio di stagnazione più o meno secolare da fronteggiare, è chiarissimo che la stabilità dell’Eurozona si gioca tutta sull’efficacia dell’integrazione economica e politica e, dunque, su una sempre maggiore condivisione delle ‘policy’ e della sovranità. Non a caso questo è un punto sul quale da mesi insiste Mario Draghi, a capo dell’unica istituzione europea veramente federale. Un punto che, dal modo in cui è stata impostata la riflessione sui passi futuri da compiere per rafforzare l’unione economica e monetaria, non sarà risolto a breve.
In sintesi il ragionamento di Piketty è questo: va modificata la percezione dei gruppi sociali medio-bassi che l’Unione europea è un’architettura politica-istituzionale pro-capitale e va evitato che l’aumento della concentrazione della ricchezza, con le rendite che crescono molto più velocemente dei redditi da lavoro, sia in parte dovuto a trasferimenti dal settore pubblico alla ricchezza privata attraverso le privatizzazioni di asset statali e l’incremento del debito pubblico a livelli storicamente elevati. Le cose da fare sono, dice Piketty, note: base fiscale comune per le imprese (gli Stati ci stanno provando da anni senza successo); contrasto dei paradisi fiscali (su questo l’azione europea ha subito una evidente accelerazione con i governi spinti dalla necessità di far cassa e rispondere alla domanda generalizzata di equità); fondo di redenzione del debito (trasferimento a un fondo comune della parte eccedente il 60% del debito/pil di ciascun paese ed emissione di titoli sul mercato a tassi relativamente bassi in questo caso comuni); piano di investimenti pubblici e privati in università, innovazione e tecnologie verdi.
Con la regola dell’unanimità sugli affari fiscali “non è possibile fare nulla”, ricorda Piketty, e il sistema automatico di regole e sanzioni sui livelli di deficit “non sta funzionando”. Ecco la proposta: per adottare tali politiche con la regola della maggioranza “è necessario un parlamento dell’Eurozona”.
Piketty sottovaluta il fatto che i contrasti politici sulla condivisione dei rischi e del debito fra i paesi membri dell’unione monetaria sono profondi anche tra i parlamentari. Non ci sono solo fra i governi, le fratture ci sono tra le opinioni pubbliche, tra i pensionati finlandesi o tedeschi e i pensionati greci. Tuttavia la proposta dell’economista francese riflette una esigenza effettiva sulla quale da tempo si discute in Parlamento e che traspare timidamente anche nella discussione in corso tra i presidenti Ue (Commissione, Consiglio, Eurogruppo, Bce e Parlamento) sul futuro dell’unione monetaria di cui parleranno i capi di Stato e di Governo nella riunione di Bruxelles a fine mese: dare legittimità piena a quanto deciso dall’Eurozona e dare all’Eurozona quella dimensione politica che oggi risulta assai precaria, quando non inesistente.
“L’Europa dovrebbe inventare una propria forma originale di bicameralismo, anche se in futuro tutti i paesi adottassero l’euro avrebbe senso avere due Camere separate, un parlamento europeo eletto direttamente come abbiamo oggi e una Eurocamera che rappresenta gli Stati attraverso i loro parlamenti nazionali”. L’Eurocamera con poteri legislativi, ecco l’azzardo, non sarebbe in alternativa al Parlamento attuale, semplicemente “rimpiazzerebbe l’Eurogruppo”. In sostanza, sarebbe una strada per procedere verso l’unione politica. E’ il minimo rilevare che non c’è alcun appetito per una soluzione del genere (immaginare lo spostamento del potere dal Consiglio a una Camera è oggi inimmaginabile e irrealistico). E’ interessante però l’idea di usare una seconda Camera per far diventare i parlamentari nazionali “più europei” smettendo di condurre il gioco allo scaribarile (è tutta colpa di Bruxelles come se a Bruxelles non decidessero in fin dei conti politici nazionali e legittimi rappresentanti dei governi….). Una soluzione “migliore”, dice Piketty, rispetto al potere di veto che molti parlamenti nazionali hanno sulle scelte europee (il Regno Unito quanto la Germania, l’Olanda o la Finlandia). L’idea di una rappresentazione parlamentare della zona euro all’interno dell’attuale Parlamento è da tempo discussa, ma non è certamente matura una soluzione. Piketty lancia il sasso e giustamente pone qualche domanda: lo choc greco non è abbastanza? Abbiamo bisogno di aspettare fino alle elezioni spagnole di fine anno? O le elezioni regionali in Francia? O un nuovo panico finanziario?