E’ politica la soluzione allo stallo del negoziato creditori-Grecia. Non nel senso occorre prescindere dagli impegni, dalle decisioni concrete del governo e del parlamento di Atene, la sola base di partenza per percorrere le ultime miglia della trattativa, ma nel senso che le due parti, greci da un lato ed Eurozona dall’altro lato, devono misurarsi sugli interrogativi politici che si aprirebbero in caso di fallimento. Alcuni economisti e politici francesi e tedeschi, tra gli animatori dell’Eiffel Group e del Glienicker Group, hanno posto la questione proprio in questi termini: “Risolvere la crisi greca è il test finale per verificare come l’integrazione europea può funzionare”. O se proprio non funziona. Adesso è il momento di verificare se, dopo quattro mesi di negoziato sostanzialmente inconcludente, la frustrazione lascerà il posto allo psicodramma di una Grexit, e si vuole correre il rischio di minare le basi, le radici della costruzione europea.
Non è proprio un allarme quello lanciato dal gruppo di economisti e politici, tra cui Agnes Benassy-Quere, Yves Bertoncini, Marcel Fratzscher, Sylvie Goulard, Daniela Schwarzer, Denis Simonneau, Constanze Stelzenmüller, Jakob von Weizsäcker, Guntram Wolff. Si tratta piuttosto della messa punto di due o tre riflessioni chiave per riordinare il discorso europeo. A ben vedere si tratta di indicazioni di semplice buon senso, che però è semrpe molto utile ribadire. Il succo è: la tragedia greca fa fermata. Una Grexit non sarebbe semplicemente un errore, sarebbe “un fallimento politico collettivo“. E per i greci una catastrofe. Ma nessuno è ingenuo: anche tenere la Grecia nella zona euro senza un impegno serio e credibile del governo a riformare l’economia e le sue istituzioni sarebbe un fallimento politico collettivo. Colpisce non tanto l’equiparazione, quanto il fatto che si parla di responsabilità collettiva di entrambe le parti, debitore e creditori. La sovranità nazionale di ogni Stato, scrive questa pattuglia di economisti e politici impegni negli affari europei, deve essere rispettata. Però, in una Europa integrata, la sovranità è “sempre più condivisa piuttosto che nazionale“. Vale per i greci, ma vale anche per i creditori.
Che fare? Tsipras deve gestire la sua contraddizione apertamente avendo ottenuto un mandato politico in base a promesse che non potrà soddisfare. Ecco perchè l’idea di un referendum non dovrebbe essere considerata una minaccia quanto il contrario, una opportunità. Da lì Tsipras può ottenere una nuova legittimità.
I creditori devono fare anche loro un passo. Intanto dovrebbero riconoscere che l’ottimismo dei due programmi economici compresa la valutazione sulla sostenibilità del debito ellenico è stato un clamoroso errore. Secondo, dal frotne dei creditori dovrebbero cessare le allusioni a una Grexit. Oltretutto, non riuscire a risolvere la crisi comporterebbe costi significativi per l’Europa. “Unione bancaria, salvagenti finanziari come il Meccanismo europeo di stabilità (il fondo salva stati) hanno ridotto la probabilità di un contagio dalla Grecia ad altri paesi Eurozona, ma non dovremmo sottovalutare il potenziale di contagio da un cambiamento negli orientamenti dei soggetti del mercato che non considererebbero più la partecipazione all’unione monetaria un impegno irrevocabile”. Per nessuno.
Facciamo anche dei conti: l’esposizione combinata di Francia e Germania verso la Grecia ammonta a circa 160 miliardi (per l’Italia complessivamente oltre 50 miliardi). Per una famiglia di quattro persone dei due paesi fa 4350 euro. Meglio ricordarselo quando si peseranno costi e rischi di un sostegno prolungato ad Atene e i parlamenti dovranno approvare un terzo programma di aiuti. Per non parlare dei rischi geopolitici: instabilità ai confini orientali, riduzione del peso politico globale della Ue, che dipende molto dalla capacità europea di giocare unita, di parlare con una sola voce, di sapere gestire l’area monetaria comune.
Occorre a questo punto agire su impegni simmetrici, ecco l’idea: la Grecia deve impegnarsi seriamente in un programma di riforme e a servire gli oneri derivanti dal debito contro prestiti e concessioni per emergenze sociali da parte dei creditori. Questi ultimi devono essere coinvolti nell’operazione ‘ricostruzione delle fiducia nell’economia greca’ per attirare investimenti internazionali. Infine, la Ue potrebbe sostenere la creazione di una ‘zona pilota’ in cui le imprese sono soggette a regole meno burocratiche, una specie di Shenzhen ellenica, una zona economica speciale in cui sperimentare il funzionamento di nuove istituzioni, in un paese afflitto da istituzioni debolissime. Magari funziona.