Il governo greco chiede un finanziamento a breve termine (4-5 mesi) per poter negoziare senza la corda al collo nuove condizioni per il sostegno finanziario e il ripagamento del debito. I governi della zona euro rispondono picche e per bocca del presidente Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem rispondono: “Non facciamo prestiti ponte”. Il motivo è chiaro: separando il ‘prima’ (chiusura del programma di aiuti di scade il 28 febbraio) dal ‘dopo’ (nuova fase con nuove condizioni finanziarie e di controllo delle politiche economica e di bilancio) si darebbe per scontato che un governo appena insediato può smontare in radice gli impegni assunti dal governo precedente. Nel fine settimana siamo al muro contro muro, con Atene con tutta evidenza isolata. Ciò non vuol dire che si lavori a un accordo. Nessuno scommette su un fallimento. Non scommettono sul fallimento i mercati. La mossa della Bce, che ha deciso di chiudere a breve i rubinetti della liquidità alle banche senza lasciarle però a secco con la ‘scappatoia’ dello sportello di emergenza nazionale, ha messo certamente nell’angolo Atene, ma ha messo nell’angolo anche i governi-creditori obbligandoli ad accelerare le decisioni. Mercoledì si riunisce l’Eurogruppo, il giorno dopo saranno a Bruxelles i capi di Stato e di Governo della Ue (sul tavolo il conflitto russo-ucraino, la risposta al terrorismo islamista e anche – nei conciliaboli a latere del vertice – la Grecia, tre crisi che potenzialmente costituiscono una miscela molto pericolosa). Tsipras e Merkel dovranno parlarsi. Poi altra riunione Eurogruppo lunedì 16, sempre a Bruxelles. Il 28 scade il programma di aiuti, dal primo marzo la Bce procede all’acquisto di titoli sovrani contro la deflazione. Questo è il calendario del negoziato. Si riparte con una corsa contro il tempo.
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