La ripresa italiana è fragile, dice la Commissione europea. Non è considerata fragile la ripresa su scala europea grazie alla spinta della politica monetaria accomodante della Bce, dell’euro, della caduta dei prezzi del petrolio, della politica di bilancio neutrale. Però, nonostante la correzione al rialzo delle stime sull’andamento del pil (+1,2% nell’Eurozona quest’anno, +1,9% nel 2016) è considerata fiacca, debole. Che lo scenario sia cambiato rispetto a quattro-sei mesi fa è indubbio. Tra i segnali da prendere con le molle, ma che fanno ben sperare ci sono “i segni nascenti di una inversione di tendenza nel credito bancario”, sulla scorta dell’ultimo sondaggio Bce che a gennaio segnalava un ulteriore miglioramento per tutti i tipi di prestito. Ciononostante, gli economisti di Bruxelles riconoscono che le incertezze sono ancora tante, troppe. Anzi: sono superiori quattro mesi fa.
Nel rapporto di previsione della Commissione si è scelto quest’anno un linguaggio meno compassato. Così troviamo per esempio un termine quasi letterario come “il viaggio della ripresa continua”. Ma si trovano anche interrogativi piuttosto secchi Come questo: “Nella visione di lungo periodo stiamo fronteggiando un’era di bassa crescita, bassi investimenti, bassa inflazione e tempeste finanziarie occasionali nei mercati finanziari globali?”. La risposta è no, ma solo a patto che siano attuate le politiche giuste come il ‘quantitative easing’ della Bce, l’uso dei bilanci pubblici in modo che combinino prudenza e manovre favorevoli alla crescita, le fatidiche e necessarie riforme strutturali, il piano per la crescita lanciato dalla Commissione europea (che però è limitato a 315 miliardi in tre anni, una goccia nel grande mare dell’economia continentale). La risposta resta dunque sospesa.
Non è detto che l’Europa sfugga se non alla stagnazione secolare di parlano diversi economisti, quantomeno alla quasi stagnazione decennale. Nello sforzo di tenere conto di tutte le sfumature, che riflette l’esigenza di non voler scegliere, la Commissione europea ha fatto una mappa dei rischi di un peggioramento della situazione rispetto alle previsioni e dei rischi di miglioramento: sei da una parte, sei dall’altra. Il peso e gli effetti di tali rischi, nel caso si materializzassero, sono diversi naturalmente, ma lo schema è fatto apposta per lasciare una speranza a tutti, ottimisti e pessimisti. E serve anche a preparare il terreno per eventuali critiche ex post all’insegna del “io l’avevo detto”.
Partiamo dai rischi di uno scenario negativo. La Commissione parte con le tensioni geopolitiche, prima fra tutte la questione russo-ucraina: l’impatto economico delle sanzioni contro la Russia e delle controsanzioni può essere più forte di quanto atteso dato che potrebbero proseguire più a lungo di quanto previsto. Secondo l’estrema volatilità dei mercati finanziari dovuta all’incertezza sulle politiche (innanzitutto il caso Grecia con i conseguenti interrogativi che possono riaprirsi sulla sostenibilità del debito sovrano) e alla divergenza delle politiche monetarie al di qua e al di là dell’Atlantico. Terzo fattore di rischio il rinvio o la parziale attuazione delle riforme strutturali e istituzionali sia negli Stati sia a livello europeo.
Quarto rischio: sebbene Bruxelles consideri un periodo di deflazione conclamata solo un’ipotesi improbabile (nell’Eurozona i prezzi al consumo sono previsti in crescita negativa a -0,1% ma tornerebbero in area positiva già dalla seconda metà dell’anno) non è escluso un periodo più prolungato di inflazione ancora più bassa che avrebbe l’effetto di deprimere ancora di più i consumi e la domanda di investimenti, oltre a rendere più difficile il disindebitamento. Per deflazione deve intendersi, ricorda la Commissione, una caduta dei prezzi che si autoalimenta su scala generale: oggi non siamo ancora a questo. Bruxelles dice che il rischio di una “spirale deflazionistica resta limitato” perché il contesto è di miglioramento della domanda interna e l’euro rende i prezzi all’importazione sempre più alti.
Il quinto fattore di rischio è la durata della disoccupazione: chi è senza lavoro potrebbe restarci più a lungo. Infine il miglioramento della produttività totale dei fattori che nelle attuali previsioni viene considerata in ripresa per oltre metà rispetto ai livelli pre-crisi. Il recupero potrebbe essere molto più lento.
Il primo dei sei fattori che potrebbero invece modificare in meglio lo scenario, è un aumento sostanziale del pil grazie a livelli più bassi dei prezzi del petrolio, rispetto a 45,3 euro al barile quest’anno e 52,6 euro nel 2016. Il secondo fattore è l’euro più debole trainato dal ‘quantitative easing’ della Bce. Si calcola che un deprezzamento del tasso di cambio effettivo nominale dell’euro del 5%, che corrisponde al deprezzamento effettivamente realizzatosi da marzo 2014, può aumentare il pil nell’Eurozona di circa 0,3% nel primo anno e di un altro 0,2% nel secondo. Terzo choc positivo possibile l’accelerazione della produzione e/o del commercio su scala globale. Seguono un successo inaspettato del piano Juncker per gli investimenti, il pieno successo delle riforme del mercato del lavoro in diversi paesi che sosterrebbe il reddito da lavoro e una ‘de-escalation’ del conflitto russo-ucraino.