Un primo orientamento sulla valutazione definitiva della Commissione europea sui conti pubblici di Italia e Francia (così come del Belgio) lo si conoscerà all’inizio di febbraio, quando saranno pubblicate le nuove stime invernali. Perché Bruxelles possa tenere conto degli ultimi dati e delle eventuali novità su andamento della crescita e dell’indebitamento, gli Stati devono aggiornare i loro conti entro il 23 gennaio. E’ quella che viene chiamata nei palazzi europei ‘cutoff date’, la data limite. Sembra così che la ‘tregua’ concessa ai tre paesi per rafforzare le misure strutturali di bilancio sia più ‘natalizia’ che primaverile. Il tempo a disposizione per produrre quell’”ulteriore piccolo sforzo” chiesto all’Italia – per la Francia lo sforzo è notevolmente maggiore – non è molto perché è sulla base delle nuove stime economiche che la Commissione comincerà ad abbozzare le sue conclusioni. Non bisogna però esagerare: nonostante il tiro al rialzo degli ultimi giorni con i soliti messaggi politici a Roma e Parigi, con l’invito a non sprecare tempo, non è tempo di messaggi minatori. La stessa Bce ribadisce sì la necessità di rispettare pienamente il patto di stabilità come elemento fondativo della stabilità dell’Eurozona e della prevedibilità dell’azione di politica finanziaria degli Stati, ma non se ne trae la conclusione che indichi la necessità di manovre finanziarie straordinarie. D’altra parte, nel caso dell’Italia afferma che “in prospettiva è importante assicurare il pieno rispetto della regola del debito per preservare la fiducia dei mercati”.
La Bce naturalmente rileva che l’aggiustamento strutturale dei conti pubblici nella zona euro “segna quasi una battuta d’arresto nonostante una serie di ulteriori impegni dei paesi” per evitare la bocciatura delle leggi di bilancio 2015 (sempre Italia, Francia e Belgio). Evita di indicare i tempi, anche se il mese di marzo anche per la banca centrale europea sarà dirimente. Per quanto sia importante dal punto di vista tecnico la ‘cutoff date’ del 23 gennaio, ci saranno ancora quattro-cinque settimane di tempo per evitare quelle situazioni spiacevoli di cui ha parlato il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker: procedura per mancato rispetto della regola del debito per l’Italia, avvicinamento alle sanzioni per la Francia che si trova già sotto procedura per deficit eccessivo. Messaggi per far sentire ai governi che la pressione continua.
I messaggi sono multidirezionali. Juncker deve dimostrare alla Germania che la flessibilità delle regole di bilancio non è un assegno in bianco. E’ noto che la Bce non ama il gran parlare di flessibilità per convinzione, ma anche perché più si sfarinano le regole di bilancio più si stringono gli spazi per usare il ‘bazooka’ anti-deflazione: l’acquisto di bond sovrani. Su tutti incombe l’enigma Grecia. Dei 330 miliardi di debito ellenico poco più del 70% è nelle mani di creditori pubblici: 60% Ue a diverso titolo (più di due terzi sono a carico dello European Stability Mechanism), 12% Fmi. L’8% è nelle mani della Bce. Solo il 15% può essere scambiato sul mercato. Questa ripartizione dimostra quali sono gli interessi in gioco in uno scenario di eventuale ristrutturazione del debito ellenico. La preoccupazione politica è al massimo grado tanto che la Commissione europea si è inopinatamente schierata a favore del candidato alla presidenza della Repubblica Stavros Dimas (conservatore) per il solo fatto che è stato commissario con José Barroso. Una cosa mai accaduta.
Da una situazione così complessa potrebbero emergere delle novità importanti. “A patto che Italia e Francia rispettino gli impegni assunti con la Commissione”, indicano fonti europee coinvolte nelle discussioni di queste settimane. Di fatto la Commissione europea, frammento di decimale in più o in meno di punto percentuale di deficit/pil, ha accettato l’idea che un paese come l’Italia possa sostanzialmente quasi dimezzare l’obiettivo di bilancio a medio termine (0,5% di taglio strutturale) date le condizioni dell’economia. Se riuscisse a tagliare il deficit in termini strutturali di un valore attorno a 0,3% (vale 4,5 miliardi) invece dello 0,1% previsto dal governo, non ci sarebbe alcun problema. Con un vantaggio: una volta acquisito per un paese del peso dell’Italia il principio del dimezzamento dell’aggiustamento annuale dei conti per raggiungere gli obiettivi di bilancio a medio termine, questo potrebbe facilmente diventare uno degli elementi della flessibilità delle regole di bilancio.
Un altro elemento di flessibilità di cui stanno discutendo Commissione e Stati membri nelle riunioni tecniche al Consiglio Ue, è la possibilità di concedere più tempo per raggiungere gli obiettivi di bilancio ai paesi che si trovano in una situazione economica che non è recessione dichiarata (situazione prevista con l’interpretazione attuale), ma che possono portare a una stagnazione prolungata. Terzo elemento della flessibilità quella che il ministro Padoan chiama “interazione tra riforme e patto di stabilità”: allentare gli obiettivi di bilancio (pur restando sotto il 3% o mantenendo l’impegno ad arrivarvi) per condurre riforme strutturali che a termine hanno un impatto positivo sui conti pubblici. Quarto elemento, lo scomputo della spesa per certi investimenti co-finanziati con fondi europei. E’ su questo che Matteo Renzi vuole ottenere dei risultati cercando di forzare la discussione alla riunione dei capi di Stato e di Governo questo fine settimana a Bruxelles.