Il passo la Commissione europea l’ha fatto: il ‘piano’ per gli investimenti è stato presentato e ora la parola passa ai governi. Si capirà a dicembre nelle prossime riunioni dei ministri finanziari e poi dei capi di Stato e di Governo capire se sottoscrivono il progetto di Fondo europeo per gli investimenti, se apporteranno direttamente capitale, se daranno il via libera politico allo sganciamento di tale spesa dal patto di stabilità ai fini della valutazione dell’andamento dell’indebitamento pubblico. Non sono punti aperti di secondaria importanza dal momento che senza l’apporto di capitale degli Stati il Fondo per gli investimenti potrebbe rischiare di avere una base di capitale di riferimento limitata. Angela Merkel sostiene Juncker. L’Italia sostiene il progetto, ma chiede chiarimenti. Fa discutere molto l’effetto leva previsto da Commissione e Bei: fino a 15 euro mobilitati grazie a un solo euro ‘pubblico’. Jean Claude Juncker e il presidente della Bei Werner Hoyer rispondono ai dubbi sul tasso elevato di ‘ingegneria finanziaria’ contenuto nel progetto: un effetto leva 1 a 15 è addirittura di una stima “prudente”. La sfida è aperta e costituisce una assoluta novità per la politica economica europea: nasce uno strumento comune pubblico per la condivisione di una parte del rischio di mercato.
Juncker vuole apparire sicuro del fatto suo e respinge il sospetto che l’operazione Fondo investimenti sia un semplice meccanismo di ‘restyling’ finanziario che poggia prevalentemente su partite già previste e stanziate nel bilancio Ue. Le garanzie pubbliche europee saranno di 16 miliardi, mentre 5 miliardi (questi sono i soli soldi ‘freschi’) arriveranno dalla Banca europea degli investimenti che li verserà direttamente al nuovo Fondo Ue. Ora la Commissione dice esplicitamente che lo scopo del Fondo per gli investimenti strategici è usare meglio le risorse del bilancio Ue, non avere soldi freschi o presi a debito. Quindi il punto non è quanti sono i ‘soldi’ nuovi, ma se funziona o meno lo strumento finanziario che fa da catalizzatore per attrarre l’interesse degli investitori privati in progetti in diversi settori (non solo energia, trasporti e digitale ma ricerca, innovazione). Le garanzie pubbliche servono a sostenere una parte del rischio che viene considerato eccessivo dai privati per ragioni che vanno dal beneficio economico differito nel tempo del progetto alle condizioni specifiche di un paese, alle condizioni complessive dell’economia. In sostanza, i 21 miliardi di garanzie di cui dispone il Fondo per gli investimenti servono per aumentare la capacità di prestito della Bei a 60 miliardi in tre anni e su questa base la Bei interviene (attraverso emissioni di bond sul mercato) nel progetto di cui finanzia solo una parte mentre il resto viene finanziato da investitori privati.
La questione della convenienza degli Stati ad aumentare la base di capitale del Fondo europeo per gli investimenti è tutta da approfondire. Fonti dello staff di Juncker spiegano che “occorre passare dalla visione nazionale alla visione europea degli investimenti, nel senso che i progetti che passano dal Fondo sono di fatto privilegiati”. Hanno cioè uno ‘sconto’ in relazione alla valutazione dell’indebitamento pubblico. L’apporto degli Stati al capitale non è sul singolo progetto, ma è sulla base di capitale del Fondo per gli investimenti. Quindi non c’è alcuna relazione automatica tra la ‘quota’ messa nel Fondo e il sostegno al finanziamento di un progetto nazionale. L’idea, spiegano alla Commissione, è che “ciò che fa bene a un paese fa bene anche gli altri perché l’effetto positivo degli investimenti si diffonde oltre i confini nazionali”.
A molti appare una visione un po’ “aerea” della situazione, sicuramente ottimistica. Il ministro Padoan ha sollevato il problema ricordando che va verificato in base a quali parametri saranno destinate le risorse non in termini geografici, ma in termini di validità dei progetti. Le due dimensioni, però, a un certo punto diventano inestricabili. Il fatto che Juncker abbia fatto appello ai governi a capitalizzare direttamente il Fondo per aumentarne la forza, la credibilità e forse anche il fatidico effetto leva dimostra che la Commissione preferisce mettersi al riparo da sempre possibili difficoltà nel far funzionare la ‘macchina finanziaria’ appena concepita.
Il secondo aspetto riguarda la valutazione dei conti pubblici. Si è certamente spezzato il ciclo della rigidità sulle regole. Non è in discussione una modifica delle regole contabili di Eurostat: lo spazio per non contare la spesa pubblica per capitalizzare il Fondo investimenti ai fini della valutazione sarà trovato interpretando in modo flessibile le varie clausole discrezionali che già esistono nella regolazione sui bilanci pubblici. I documenti pubblicati oggi parlano trattamento “favorevole” di tali spese. L’Italia, ma non solo l’Italia, vuole essere certa che si tratta di un chiaro “sconto”. Non è comunque legato ad alcun tipo di “condizionalità” (attuazione di riforme economiche, stato dei conti pubblici o quant’altro).
Il cantiere è stato appena aperto: la Commissione europea fa trapelare che la possibilità di escludere dalla valutazione sull’andamento dei deficit anche la spesa per i progetti co-finanziati dalla Ue sarà discussa a gennaio (discussa non vuole dire proposta). Questo è una prospettiva fortemente auspicata dal governo italiano: batti e ribatti certe ipotesi inizialmente considerate eresie si sono fatte largo e questo è un risultato dovuto alla pressione di diversi responsabili di governo tra cui Matteo Renzi. La debolezza della ripresa economica ne ha creato le condizioni ed è servita anche la spinta della Bce che da settimana non cessa di indicare che la sola politica monetaria accomodante nella versione più spinta del ‘quantitative easing’ non risulta sufficiente a cambiare la situazione. Quanto più agiscono in modo coerente e a livello europeo i governi per sostenere la domanda tanto meno necessario potrebbe essere l’intervento Bce per comprare titoli sovrani, il vero ‘bazooka’ finanziario anti-deflazione.
Ragionando in prospettiva, il meccanismo inventato da Commissione e Bei potrebbe diventare qualcosa di effettivamente importante provato che trovi il favore degli investitori privati. A suo favore gioca il fatto che oggi si è convinti che esista un enorme serbatoio di liquidità non impiegata contrariamente a quanto accadeva qualche anno fa. “Non è un fondo sovrano secondo il modello che conosciamo oggi -, dice il ministro dell’economia Per Carlo Padoan -, qui c’è da attrarre capitali privati mentre i fondi sovrani di Cina o Norvegia impiegano risparmio in eccesso”. Tuttavia il Fondo per gli investimenti strategici potrebbe essere la versione europea di un Fondo sovrano ‘all’europea’, fondato su risorse comuni (bilancio Ue e della Bei) e provenienti da singoli Stati. Di fatto è un meccanismo comune per sostenere un rischio che il mercato non vuole o non può assumere. Un meccanismo pubblico europeo per far fronte a una classica situazione di “fallimento del mercato”.