Non stupisce che ai piani alti delle istituzioni europee il sollievo per il risultato del referendum scozzese sia stato generalizzato: la prospettiva di dover far fronte a un effetto domino in diversi paesi (Spagna in primo luogo), a un rafforzamento delle posizioni nazionaliste, a un Regno Unito fortemente indebolito in una fase politica critica (crisi ucraina, impegno militare in Medio Oriente e anti-terrorismo) e in una fase economica da ‘decennio perduto’ sarebbe stata semplicemente drammatica. Ora che David Cameron ha inaugurato la svolta della “decentralizzazione” del Regno Unito, si ritiene che anche per questa via potrà essere affrontata la crisi di fiducia nelle istituzioni europee. Il nuovo interrogativo riguarda il 2017: non è chiaro se il risultato del referendum scozzese rafforzerà o indebolirà i fautori dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Proprio in vista del promesso referendum del 2017, Cameron potrebbe essere tentato di usare la carta ‘regionalista’ per aumentare il prezzo di un negoziato con la Ue per limitarne i poteri in alcuni ambiti.
Un processo di ‘decentralizzazione’ nel Regno Unito sarà più facile se l’Unione europea sarà in grado di avere politiche regionaliste efficaci, convincenti, e se la legittimazione della sua azione complessiva presso le opinioni pubbliche sarà forte, riconosciuta, visibile. Da questo punto di vista il contesto è dei più difficili.
Da un lato è sempre più chiara la necessità di avviare una nuova fase di trasferimento di sovranità verso l’alto, cioè verso il livello europeo, e non verso il basso. Ciò è chiarissimo per l’economia, che vuol dire una parte fondamentale dell’azione pubblica coinvolgendo riforme strutturali per migliorare la capacità di crescita, energia, politiche del clima, supervisione bancaria, politiche di investimento pubblico e per attrarre capitali privati in grandi progetti infrastrutturali. Un ‘coordinamento-sorveglianza’ più forte a livello europeo è una precisa richiesta della Bce per poter avere lo spazio tecnico-politico per agire a sostegno dell’economia e della stabilità finanziaria.
Dall’altro lato, la spinta al recupero di sovranità nazionale non si è certo indebolita. Perfino nel cuore dell’Eurozona il discorso ‘nazionale’ aumenta di intensità. Il messaggio italiano e francese ‘Decidiamo noi sulle riforme da fare a casa nostra’ lo dimostra chiaramente. E il fastidio tedesco ai rilievi che arrivano dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal Fondo monetario sulla necessità di una sterzata sugli investimenti interni e di un aumento dei salari in Germania mostra quanto sia difficile far digerire una equa condivisione delle responsabilità in Europa.
Se questo è il quadro, la risposta alle pressioni britanniche per un rimpatrio (silenzioso) di poteri quale condizione per restare nell’Unione europea potrebbe risultare più debole. Alcuni nei ‘piani alti’ delle istituzioni Ue ritengono che adesso la posizione europea di Cameron si è notevolmente rafforzata in Europa. E si fa notare come il Regno Unito non sia uscito davvero male dalla configurazione politica della nuova Commissione: aver affidato al britannico la responsabilità dei servizi finanziari, della regolazione bancaria è stata una scelta “strategica” di Jean Claude Juncker (si tratta di Jonathan Hill, considerato un euroscettico moderato). Inoltre aver affidato i portafogli di concorrenza e commercio a dueliberali (la danese Vestager e la svedese Malstrom) ben lontane dalle posizioni neoprotezionistiche all’insegna della difesa dei ‘campioni nazionali’, è stato un altro segnale chiaro di ‘policy’ ai britannici e non a caso tali scelte sono state accolte a Londra con enorme soddisfazione.