Sono molte le novità della Commissione Juncker che dal primo novembre (a meno di improbabili grossi incidenti di percorso al Parlamento europeo) entrerà in funzione. La scelta di strutturare l’esecutivo con una serie di vicepresidenti-coordinatori ‘forti’ risponde alla necessità di sburocratizzarlo e “de-tecnicizzarlo” rispondendo alla necessità di far recuperare alle istituzioni europee la loro piena dimensione politica negli indirizzi e nella regolazione della Ue. La composizione degli interessi nazionali e delle idee chiave sulle politiche europee è pienamente riflessa nei nomi e nelle missioni. Francia (affari economici), Germania (digitale) e Regno Unito (banche e finanza) ‘occupano’ importanti posizioni nei portafogli economici, il commercio va alla liberale svedese Malstrom, la concorrenza alla liberale danese Vestager. Il compromesso politico su politiche economiche e di bilancio è risolto con un ‘fifty-fifty’ sulla carta: non ci sono commissari di serie a e di serie b, ma potrebbero esserci rischi di conflitti paralizzanti. Il rischio che il commissario francese responsabile delle politiche di bilancio Pierre Moscovici litighi con il vice-presidente finlandese Jyrki Katainen che si occupa di crescita e competitività litighino e si intralcino è reale.
Juncker ha confessato apertamente che, a differenza del passato, questa volta non è stato “il solo padrone delle scelte” e questo la dice lunga anche sul lavoro futuro della Commissione. Dal punto di vista generale, salta subito agli occhi un elemento: l’attribuzione dei portafogli e la strutturazione dell’esecutivo segue un ‘manuale Cencelli’ su scala europea, riflettendo perfettamente esigenze di rappresentanza politica, visioni politiche, equilibrio grandi-piccoli paesi membri. 14 commissari sono del partito popolare, 8 del Pse, 5 dei liberali, 1 dei conservatori europei e riformisti, tra i vicepresidenti la ‘ministra’ esteri (Federica Mogherini) e il primo vice-presidente (l’olandese Frans Timmermans è il solo ad avere accesso a tutte le direzioni generali, gli altri dovranno avere una delega specifica di Juncker) sono socialisti, 3 sono popolari, 2 liberali.
Sul piano politico il compromesso sulle visioni e le strategie in economia e finanza riflette anche un certo coraggio. La coppia Pierre Moscovici-Jyrki Katainen è quasi ‘classica’: il primo socialista francese, corresponsabile delle criticatissime politiche di bilancio e di gestione economica della Francia, fortemente impegnato nella “battaglia della flessibilità” delle regole sui conti pubblici; il secondo più ‘tedesco’ dei tedeschi negli anni della gestione della crisi del debito sovrano, solo ultimamente acconciatosi a qualche cambiamento verbale (tutto da verificare) sulla valutazione dei deficit dei paesi Eurozona (Francia e Italia in particolare). Non è chiaro che cosa significherà in pratica per Moscovici avere ‘sulla testa’ un coordinatore. “Il ruolo del vicepresidente sarà quello di coordinatore, organizzatore, può bloccare l’iniziativa legislativa”, ha indicato oggi Juncker.
Nelle carte si parla di “un ruolo strategico di filtro”. Significa che il presidente della Commissione non introdurrà una nuova iniziativa nel programma di lavoro o nell’agenda settimanale se non ha avuto il sostegno di un vicepresidente (sulla base di buoni argomenti). La cosa certa è che la struttura di commissari coordinatore e commissari-commissari farà nascere una dialettica politica più esplicita che in passato. Forse ne guadagnerà la visibilità della formazione delle scelte.
La seconda novità riguarda il ruolo del commissario britannico: Jonathan Hill si occuperà di mercati, stabilità finanziaria, regole, attuazione dell’enorme quantità di regolazione messa in piedi negli ultimi anni come risposta alla crisi. Nasce una nuova direzione generale per la stabilità finanziaria (sarà sempre comunque la vecchia dg affari economici a occuparsi di Esm). Sarà come avere la volpe nel pollaio? “Spero che gli amici britannici ora capiscano un po’ meglio la logica europea e le sue necessità se viene spiegata loro nella lingua di Shakespeare”, ha detto Juncker. Con il rischio “separazione” britannica dalla Ue, si mostra a Londra il guanto di velluto. Per inciso, la stessa logica Juncker l’ha applicata alla Francia: “Con Moscovici forse gli amici francesi
capiranno meglio la necessità del consolidamento dei conti pubblici”. Proprio oggi Parigi ha annunciato che rinvierà ancora una volta, dal 2015 al 2017, l’obiettivo di riduzione del deficit/pil sotto il 3% a causa della “situazione economica eccezionale”, cioè negativa, in Europa. L’equilibrismo del democristiano Juncker offre una certa dose di perfidia adeguatamente bilanciata.
Due donne liberali a concorrenza (la danese Verstager) e commercio (la svedese Malstrom) indicano che vengono escluse forzature dei principi Ue del mercato interno a sostegno dei cosiddetti ‘campioni’ e settori europei’ nel senso di una svolta neoprotezionistica nonostante che da paesi chiave come Francia, Germania e Italia, le spinte in tale direzione siano state e continuino a essere piuttosto forti.
Altre novità rilevanti sono: un commissario alle migrazioni (il greco Avramopoulos), la riunificazione clima-energia (lo spagnolo Arias Canete), la scelta tedesca di accettare Oettinger all’economia digitale al posto del commercio, secondo quanto era circolato nelle scorse settimane, riflette la visione “lunga” del governo tedesco: sull’economia e la società digitale ci sono soldi europei e interessi tedeschi rileavanti. Naturalmente, Juncker ha spiegato che i commissari europei non sono rappresentanti dei paesi di provenienza e dei loro interessi, che lui è il garante. Ma come si sa l’”Europa” non può certo prescindere da chi li ha mandati a Bruxelles.