LETTERA DA BRUXELLES Banche, i governi temporeggiano ancora sui “paracadute”

 Prima l’Eurogruppo lunedì sera, poi tutti i ministri europei delle finanze martedì. Nelle stesse ore toccherà al parlamento europeo passare ai raggi x per l’ennesima volta le nuove norme. E’ il tema bancario a fare sempre la parte del leone e, in particolare, la legislazione sui meccanismi di risoluzione. La risoluzione è l’insieme di procedure per ristrutturare e gestire il fallimento di una banca in modo ordinato, prevedibile, spostandone definitivamente gli oneri dagli Stati, cioè in definitiva dai cittadini, al settore privato, ai proprietari a vario titolo e intensità delle banche. In ogni caso, l’attesa di pronte decisioni sul modo in cui i governi interverranno nel caso in cui qualche banca avesse bisogno di rafforzare il capitale è destinata a essere delusa. Si temporeggia, prima di qualche mese non si saprà nulla.



 La questione dei ‘paracadute’ finanziari (gli addetti ai lavori li chiamano correntemente ‘backstop’) è da tempo al centro di una discussione molto difficile tra i ministri finanziari con una Bce che si mostra sempre più preoccupata. Di nuovo Mario Draghi ha segnalato che per la stabilità del sistema bancario e la fiducia degli investitori sulla sua capacità di resistenza agli effetti della recessione è necessario che i paracadute vengano approntati prima della pubblicazione dei risultati della verifica sulla qualità degli asset, condizione preliminare perché la banca centrale europea possa assumere le funzioni di vigilanza in modo credibile (autunno 2014).
  Quando i ministri finanziari europei si ritroveranno martedì mattina a Lussemburgo durante la colazione per parlarne, una gran parte della discussione sarà sulla strategia di comunicazione dei risultati del test Bce. Di solito si parla di comunicazione quando non si vuole parlare del merito delle questioni. In questo caso non è davvero così: la comunicazione esaustiva, tempestiva ai mercati sul modo in cui si gestiranno i casi per i quali ci sarà bisogno di ricapitalizzazioni è fondamentale perché questa volta l’operazione trasparenza sul reale stato delle banche europee riesca al cento per cento.
  Sono tutti d’accordo che la prima linea di difesa per colmare le necessità di capitale delle banche deve essere privata, deve riguardare i proprietari delle banche secondo una certa gerarchia. Ma i ‘backstop’ coinvolgono anche il settore pubblico nel caso in cui per una serie di ragioni gli apporti del settore privato non siano sufficienti. Alla fine sono tutti convinti che i governi concorderanno una linea comune, che l’annuncio atteso sui ‘backstop’ ci sarà, ma è certo che questa attesa sta snervando la Bce, che si sente ormai da mesi sotto tiro e si sta preparando concretamente a diventare organismo di vigilanza diretta su 130 banche.
  Due le ragioni del temporeggiamento dei governi. La prima è che annunci di disponibilità a intervenire di nuovo a sostenere le banche non sono popolari in tempi di restrizione dei bilanci con i cittadini costretti a tirare la cinghia. La seconda ragione è che si teme di annacquare il significato del complesso marchingegno costruito per definire condizioni, modalità e gerarchia della partecipazione del settore privato alla soluzione delle crisi. Si teme in sostanza di dare il segnale opposto alle norme sul ‘bail-in’ in corso di approvazione. La questine è intimamente intrecciata al braccio di ferro sul meccanismo di risoluzione unico europeo: dopo il voto, il governo tedesco non ha offerto spiragli per andare oltre l’idea di una rete di meccanismi nazionali. In gioco c’è la sovranità di bilancio da un lato e il grado di centralizzazione delle decisioni di risoluzione dall’altro, punti altamente sensibili non solo in Germania. Commissione e Bce difendono l’idea della maggiore ‘comunitarizzazione’ possibile segnalando che una decisione di risoluzione deve essere decisa rapidamente. Ovvio che la rapidità non può essere garantita da un sistema frammentato di autorità nazionali. La Commissione tuttavia mostra ottimismo: ritiene che ci siano tutte le condizioni per un accordo entro fine anno con i governi e per un voto all’Europarlamento prima di fine marzo (l’ultima sessione utile prima dello ‘scioglimento’ dell’Assemblea sarà appunto a marzo).
  Prima si fa chiarezza su questi aspetti dell’unione bancaria meglio è. Nell’ultimo bollettino economico della Commissione europea sull’Eurozona si dice chiaramente che “i micro-miglioramenti nell’economia dell’ultimo periodo non saranno sufficienti a dissipare i dubbi sulla stabilità sistemica del settore finanziario fino a quando gli accordi di supervisione, i regimi di risoluzione e il loro finanziamento resterà in mani nazionali”.