La Commissione europea ci riprova. Non vuole cavalcare con grande clamore il risultato dell’inchiesta giornalistica sui paradisi fiscali con tanto di nomi e cognomi eccellenti, ma sicuramente intende sfruttare l’onda fino in fondo. L’esecutivo europeo non commenta liste e notizie che non siano ufficiali e l’inchiesta dell’International Consortium of Investigative Journalists ufficiale non è. Cionostante coglie la palla al balzo e chiede ai governi di uscire allo scoperto: quattro mesi fa è stata presentata una lista, questa sì ufficiale, di 34 possibili azioni per rafforzare le misure di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscali, è ora che i ministri delle finanze si pronuncino, Rapidamente. Il fatto che nell’Unione europea le decisioni sulle politiche fiscali richiedono l’unanimità non può e non deve essere un’alibi paralizzante, come è stato spesso finora.
Sui paradisi fiscali la Ue è piuttosto indietro. Allarme ce n’è tanto e totalmente giustificato: si calcola che ogni anno si perdano circa mille miliardi a causa dell’evasione e dell’elusione, uno scandaloso buco di entrate e una minaccia sociale. Quanto pesino in tale cifra le ‘fughe’ verso i paradisi fiscali e quanto invece pesi l’aggiramento delle norme nazionali non si sa con precisione. E’ questo il contesto in cui si colloca l’inchiesta giornalistica internazionale: con i cittadini alle prese con dure terapie fiscali e tagli della spesa pubblica non ci sono più margini per giustificare l’evasione e l’aggiramento delle regole sfruttando i ‘paradisi’ extra Ue e i varchi aperti dalle complesse legislazioni nei paesi della stessa Europa. C’è un altro elemento importante: le soluzioni unilaterali non sono sufficienti perché nel mercato unico incoerenze, lacune nelle norme nazionali, nelle stesse definizioni di ‘paradiso fiscale’ e ‘giusta concorrenza fiscale’, sono diventate un facile terreno di gioco per chi vuole sfuggire al fisco. Una delle raccomandazioni più significative della Commissione europea è questa: utilizzando criteri comuni, gli Stati devono individuare i paradisi fiscali definendo ‘liste nere’ nazionali. La lista ‘grigia’ dell’Ocse non viene evidentemente ritenuta sufficiente. Chi fa parte della ‘lista nera’ pagherebbe un conto in termini di reputazione nel momento in cui, anche in conseguenza della crisi finanziaria e della stretta nella regolazione bancaria su scala globale, sta venendo meno la certezza dell’impunità e aumentano le probabilità di essere ‘pizzicati’.
Una seconda raccomandazione prevede misure contro la cosiddetta ‘pianificazione fiscale aggressiva’: si tratta di valutare se le norme fiscali di un paese non Ue sono ‘dannose’ o meno. Nel mirino ci sono le imposte sul business che privilegiano i non residenti, l’offerta di tasse più basse per gli investitori stranieri o vantaggi fiscali a operazioni che non richiedono una attività economica reale o una presenza sostanziale nel paese. Poi il codice dei contribuenti, un codice di identificazione fiscale europeo, un riesame delle disposizioni anti-abuso, orientamenti comuni per la tracciabilità dei flussi di denaro. Questo è un punto particolarmente importante sul quale la Commissione si è impegnata ad avanzare proposte, purtroppo non rapidamente: impegno entro fine 2014. Si tratta di migliorare l’accesso delle amministrazioni tributarie all’informazione sui flussi di denaro attraverso le carte di credito e i conti bancari Ue e off-shore agevolando la tracciabilità delle operazioni di portata “significativa”.
Dal primo gennaio sono entrate in vigore le nuove regole previste dalla direttiva sulla cooperazione amministrativa che implica scambi di informazioni più accurate tra le autorità fiscali dei paesi membri. In sostanza, viene meno uno dei principi cardine del segreto bancario: uno Stato Ue non può rifiutare di dare informazioni a un altro Stato solo perché tali informazioni sono detenute da una banca o da una istituzione finanziaria. Scambio di informazioni, trasparenza e tutela della concorrenza sono i tre pilastri dell’approccio Ue. Dietro le parole, come sempre, si nascondo le interpretazioni e le eccezioni. Austria, Belgio e Lussemburgo si sono sempre opposti allo scambio automatico delle informazioni fiscali sul trattamento degli interessi da risparmio dei cittadini non residenti. Possono mantenere il segreto purchè prelevino sui rendimenti una ritenuta ora al 35%. Langue da mesi all’Ecofin il mandato da affidare alla Commissione europea per negoziare con Svizzera, Liechtenstein, San Marino, Principato di Monaco e Andorra. Si moltiplicano i trattati bilaterali con la Svizzera sullo scambio di informazioni, ma la Svizzera prevede solo l’obbligo di trasmettere solo quelle ritenute “verosimilmente pertinenti”. Infine ci sono i paradisi fiscali sotto corona britannica. I ritardi non sono certo un caso.