Un 2012 pessimo, recessione piena, un 2013 quasi piatto, speranza in un 2014 di ripresa, 1,4% come nel 2011. Strada ancora lunga. Non sono davvero rosee le prospettive dell’Eurozona con la Commissione europea che parla di crescita modesta, tiepida, sempre smorzata. Le stime europee sono peggiori di quelle del Fondo monetario, che per il 2013 prevede un pil a quota +0,2%. In un mondo normale tali differenze valgono poco, in tempi di crisi, di "acque agitate", turbolente come ha definito il commissario Olli Rehn la situazione attuale dell’economia, valgono triplo ed è per questo che i mercati hanno accusato il colpo.
Un fatto è certo: Bruxelles è più pessimista di quanto fosse in primavera. Anche se gli interventi sulla crisi del debito sovrano, il rafforzamento della ‘governance’ economica e il passaggio alla vigilanza bancaria unificata nel corso del 2013 costituiscono fattori di fiducia, si tratti di azioni di cui oggi si avverte solo l’effetto tampone. Non molto di più. Il problema è che per molto tempo ancora l’Eurozona si ritroverà in una posizione di debolezza (nel 2012 gli Usa cresceranno del 2,1%, nel 2013 del 2,3%). Il contributo della domanda interna al pil è rimasto negativo anche nella seconda metà del 2012 e così resterà nella prima metà del 2013. La crisi del debito sovrano non domata, con i casi Grecia e Spagna ancora tutti aperti, e la crisi bancaria non risolta sono parte in causa dell’inceppamento dell’economia. Si aggiunga che il consolidamento di bilancio contemporaneo in tutta l’area potrà avere un impatto più forte del normale "nei paesi colpiti duramente dalla crisi del debito sovrano" (Bruxelles calcola che l’impatto sul pil può arrivare a 0,5-0,7% per ogni taglio di un punto percentuale del deficit in rapporto al pil, livello notevolmente inferiore agli ultimi calcoli Fmi).
Bruxelles ritiene che rispetto a sei mesi fa i rischi per la crescita sono certamente "più equilibrati", tuttavia restano "orientati al ribasso". Sono quattro i possibili fattori di peggioramento della crescita: una recrudescenza della crisi del debito sovrano intrinsecamente legata al rischio di deragliamento o ritardo dell’attuazione delle misure europee per fronteggiare la crisi (un fattore che è eminentemente politico chiamando in causa decisioni sui quali i governi non hanno ancora raggiunto un accordo; una caduta più forte dell’occupazione (la disoccupazione sfiorerà il 12&% nel 2013); un rallentamento più evidente delle economie emergenti; la questione del ‘baratro di bilancio’ americano (fiscal cliff) con un contagio internazionale della sfiducia. Dall’altra parte, un solo fattore che può spingere in direzione opposta: il fattore fiducia derivante da un recupero più rapido dallo stress dei mercati finanziari.
Dall’analisi della Commissione europea emergono due fattori importanti che caratterizzano questa fase. Il primo riguarda la Germania, che risente già parecchio della coppia recessione/stagnazione generale passando dal 3% del 2011 allo 0,8% nel biennio 2012-2013. Il secondo chiama in causa l’Italia: non è un problema di conti pubblici (anche se il debito pubblico è sempre il secondo più alto in termini di percentuale sul pil) quanto di una recessione prolungata e di una prospettiva di bassa crescita. Quest’anno il divario di crescita a sfavore dell’Italia rispetto alla media Eurozona sfiora il 2% (1,9% per l’esattezza: -2,3 l’Italia , -0,4% l’Eurozona). Si tratta del divario più ampio mai registrato negli ultimi dieci anni. Nel periodo ci sono state punte dell’1,6% nel 2008 e dell’1,4% nel 2007.
Un tale scenario impone molta cautela alla vigilanza europea sui bilanci nazionali nel momento in cui emerge la possibilità di ‘sforamenti’ degli obiettivi in diversi paesi senza nuovi interventi. E’ il caso di Spagna e Francia. Poi c’è anche il problema che l’Italia non raggiungerà il pareggio in termini strutturali nel 2013, ma si troverà solo in zona pareggio: 0,4%. Importante che il commissario Rehn abbia ribadito che l’azione europea sui conti pubblici non si focalizza sui target nominali, ma sulla "sostenibilità strutturale delle finanze pubbliche nel medio termine che viene calcolata in termini di sforzi strutturali per riportare in equilibrio i bilanci pubblici".