Mario Draghi parla di futuro a medio termine, dieci anni, e chiede ai governi di chiarire bene e presto dove sta andando l’Eurozona, quali obiettivi si pone. Il presidente Bce non ha specificato, ma tutto fa capire che si riferisce alla forma politico-istituzionale dell’unione monetaria. Se si tiene conto che il suo predecessore Jean-Claude Trichet aveva esplicitamente indicato la necessità di avere un ministro delle finanze per l’Eurozona, ci si può rendere conto del senso di marcia da privilegiare. Draghi ha due motivi per lanciare (più volte nel giro di pochi giorni) un tale sasso nello stagno. Da una parte sa che la gamba politica dell’unione monetaria è troppo debole e decide in modo farraginoso e non prevedibile, crocevia degli interessi nazionali che troppo spesso pesano più di una visione generale. Inoltre, sa che il fattore politico, la certezza che chi ha in mano la cosa pubblica ‘europea’ in termini di regolazione, vigilanza finanziaria, salvataggi d’emergenza, politiche attive pro crescita, è diventato sempre più importante per chi decide di investire o di fuggire dalla area Euro. Ha a che vedere con la fiducia e lo si è visto in tutti i passaggi della crisi del debito sovrano. Dall’altra parte, Draghi vuole ribadire che tocca ai governi fare la loro parte, non alla Bce farsi strattonare sui tassi di interesse e neppure può essere aggirato il mandato della banca centrale in modo da avvicinarla al modello Fed. Draghi si difende attaccando.
La cosa interessante è che all’invito di Draghi a pensare ‘in grande’ non ha risposto nessuno, chi è intervenuto richiamandosi ai suoi messaggi si è occupato solo dell’idea di affiancare al ‘fiscal compact’ un ‘compact’, cioè un patto per la crescita. Fin troppo facile. La Commissione europea è molto fredda sull’idea di aprire un cantiere politico-istituzionale o almeno un confronto aperto sul futuro dell’Eurozona. Non si può darle torto: ci sono troppe cose sul tappeto, scelte impellenti da prendere per rischiare di impantanarsi in discussioni che rischiano di essere astratte e di creare un alibi per procedere a passi brevissimi. Ma pure è legittimo chiedersi se sia possibile prendere le decisioni giuste senza una visione. La cosa certa è che i prossimi due mesi saranno molto importanti. Vanno prese decisioni sull’aggiustamento delle politiche di bilancio alla nuova fase con la verifica dell’equilibrio austerità-misure per la crescita anche in termini di calendario. A fine maggio ci saranno le raccomandazioni ai governi sulla base dei nuovi progetti di bilancio e si vedrà quanta flessibilità sarà ammessa sui tempi del consolidamento di bilancio. Per ora non ci sono indicazioni che il quadro attuale cambierà sostanzialmente.
Poi l’azione per la crescita, il programma europeo. Farà la differenza se all’Eliseo ci sarà Hollande o Sarkozy: nel primo caso l’impatto politico in Europa, indica un diplomatico europeo, sarà “sistemico”, potrebbe aprirsi una nuova dialettica politica dopo anni di “pensiero unico” (cioè il rigore tedesco) anche se difficilmente si arriverà a decisioni ‘rivoluzionarie’ tipo Eurobond. Dell’azione per la crescita, la vera novità fa perno sull’aumento di capitale della Banca europea degli investimenti che potrebbe alla fine mobilitare investimenti fino a 180 miliardi per progetti di taglia europea (tlc, energia, trasporti).
Non è un ‘piano Marshall’ perché si arriva ai 180 miliardi calcolando la partecipazione dei privati sulla base delle garanzie europee. I governi (ormai la discussione è a livello di premier o presidenti) stanno lavorando sull’ipotesi di un aumento di capitale della Bei di 10 miliardi (ma potrebbe anche essere di 7-8 miliardi) necessario per mantenere l’attuale livello di impegni senza perdere la tripla A. Combinando i fondi Ue disponibili, 230 milioni, che la Commissione può mettere a disposizione della Bei con il finanziamento della Banca, grazie all’effetto moltiplicatore possono essere mobilitati investimenti per 4,6 miliardi in 15-20 progetti. Poi ci sono i ‘project bond’: Bruxelles sta lavorando a lanciare dei ‘pb’ pilota entro l’estate nella speranza che intervento e garanzie pubbliche convincano gli investitori a scommettere sulla crescita europea. Infine la questione bancaria, la vera variabile dipendente che rivela l’estrema fragilità europea.
Se saranno date risposte convincenti a tutto questo allora avrà fatto un buon tratto di strada, se no si tornerà a ballare e non poco anche sui mercati.
L’accelerazione politica dipende dalla forte pressione dei cittadini sottoposti a una pesante e lunga fase di austerità finanziaria e di recessione, che spazza i governi e sfalda la coesione sociale. Ma dipende anche dall’avvicinarsi di una finestra di opportunità: se è vero che dalla seconda metà dell’anno l’economia si riprenderà, tutti gli strumenti di politica economica e di ‘leva’ finanziaria devono essere pronti.