LETTERA DA BRUXELLES Flessibili o armonizzati? Braccio di ferro sui requisiti di capitale delle banche

Siamo nella fase più acuta di uno scontro di interessi finanziari di grande portata e ancora non si sa come andrà a finire. Per trovare una soluzione è stato convocata una riunione straordinaria dei ministri finanziari (il 2 maggio). Si tratta della ‘guerra’ sui requisiti di capitale delle banche per attuare le regole di ‘Basilea 3’ su capitale, leva finanziaria, rischio di liquidità, operatività della finanza strutturata. Uno dei punti più ‘caldi’ riguarda la richiesta britannica, sostenuta da diversi paesi dell’Est, di poter decidere regole più stringenti di quelle definite per la Ue. Se accettata senza precise condizioni, però, rischierebbe di creare non pochi guai.



  Secondo le regole di Basilea 3 il requisito complessivo minimo di capitale resta all’8% delle attività ponderate per il rischio: oltre la metà (4,5%) sarà costituito di azioni ordinarie e riserve di utili (common equity tier 1). Per fronteggiare periodi di stress si prevede un cuscinetto di capitale (buffer) aggiuntivo rispetto ai minimi, pari al 2,5% del ‘common equity’ in rapporto all’attivo a rischio. Naturalmente in ‘Basilea 3’ ci sono molte altre cose tutte molto importanti: dalla definizione di un concetto uniforme di capitale bancario di qualità primaria ai criteri più stretti per dedurre dal capitale le partecipazioni finanziarie e assicurative, al livello massimo di leva finanziaria. Una delle questioni sulla quale i 27 non riescono a trovare una maggioranza qualificata è quella relativa al ‘buffer’. Il fronte dei ‘flessibili’ a oltranza guidati dal Regno Unito, spalleggiato da Svezia, Polonia, Slovenia, Bulgaria e Slovacchia, vuole che sia garantita la possibilità di elevare la soglia del cuscinetto anti-rischio. Il fronte dell’armonizzazione massima, guidato da Francia e Germania, cerca di evitare una deriva ‘autonomistica’ che renderebbe a termine più sicure e quindi maggiormente competitive le banche con requisiti più stringenti.
  Il succo della diatriba è questo: più grande è la discrezionalità a livello nazionale più grandi sono i rischi di distorsioni di concorrenza e di ricadute negative nei paesi che ospitano filiali o controllate di gruppi bancari vigilati dai paesi che la praticano a piene mani.
  In un documento riservato, la Commissione spiega perché la flessibilita’ nazionale sui requisiti di capitale, per fronteggiare le esposizioni a rischio e la probabilità di fallimento, deve essere garantita secondo regole precise. Requisiti più stringenti nel paese della capogruppo (Stato home) avranno degli effetti anche negli stati che ospitano le sue controllate: “Anche se non deliberatamente ci sarebbe una tendenza naturale del capitale a essere rimpatriato dagli Stati che ospitano le controllate verso lo Stato ‘home’”. In sostanza ci sarebbe un incentivo a ridurre l’attività di quelle controllate. Tali misure non si applicherebbero alle controllate di altri Stati membri che operano nello Stato ‘home’ (che non è responsabile della loro supervisione) per cui queste acquisirebbero un vantaggio competitivo essendo soggette a requisiti di capitale meno pesanti rispetto ai concorrenti domestici.
  Inoltre la possibilità di requisiti più elevati in uno Stato può nutrire l’aspettativa dei mercati che altri lo seguano e ciò può portare le barriere difensive anti-crisi a un livello troppo alto (e oneroso per le banche) rispetto alle necessità con la conseguenza di un eccessivo divestimento (deleveraging) che a sua volta avrebbe un impatto negativo sul flusso di credito all’economia.
 In un mercato bancario strutturato come quello europeo una flessibilità ad ampio raggio sarebbe esiziale. Basti pensare all’Europa dell’Est in cui la quota di banche controllate da società non nazionali è preponderante (poco sotto o sopra il 70% nel caso di Lettonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Slovacchia, Polonia, Slovacchia). La posizione di Londra è molto diversa, ovviamente: vuole avere le mani libere per difendere la posizione preminente nella finanza con un forte ruolo dei gruppi bancari considerati importanti dal punto di vista sistemico, che dovranno avere requisiti aggiuntivi più pesanti, e un peso ipertrofico della finanza nell’economia nazionale. Per la Polonia, più che il peso della quota di gruppi esteri (67%) conta la difesa del principio politico della possibilità di scelta.
  Tre i ‘paletti’ che secondo la Commissione devono essere mantenuti: la flessibilità nazionale sulle regole prudenziali deve applicarsi solo alle situazioni ‘domestiche’, l’impatto di requisiti più elevati non deve diffondersi negli Stati dove risiedono le controllate, devono essere previste procedure di coordinamento ex-ante a livello europeo. La stessa Bce ritiene che requisiti più stringenti possano essere previsti a livello nazionale in caso di rischi sistemici inclusi quelli in materia di liquidità, ‘leverage’ e concentrazione dei rischi, ma solo se l’Autorità europea per il rischio sistemico (Esrb) “assicura il coordinamento in via preventiva delle decisioni che possono essere assunte a livello nazionale”.