“E’ il momento delle scadenze definitive e della pressione, non dell’ulteriore umiliazione”. E’ quasi un appello quello di Alexis Papahelas, direttore esecutivo del quotidiano conservatore greco Kathimerini, pubblicato dall’International Herald Tribune. In sintesi è questo lo stato d’animo di chi in Grecia si schiera decisamente dalla parte delle riforme economiche e sociali dolorose ma necessarie, però non può tacere di fronte agli strappi fatti balenare negli ultimi giorni da varie parti: il ministro tedesco Wolfgang Schaueble che chiede il rinvio delle elezioni e sogna un governo Monti in salsa ellenica, esponenti dei governi di Olanda e Finlandia che non ritengono un dramma l’uscita di un paese dall’Eurozona. Sapendo che siamo alle ultime battute di un negoziato interminabile quasi fuori tempo massimo, si può anche capire il crescendo di toni. E’ un fatto, però, che si sta correndo seriamente il rischio di creare delle divisioni sempre più profonde. La sensazione è che quanto più l’Eurozona sarà costretta ad aiutare la Grecia per non esplodere (e per diversi anni) tanto più tali divisioni diventeranno profonde. Quasi un paradosso. Un tale divorzio politico-psicologico può alimentare tensioni estremistiche in Grecia e rafforzare propensioni e posizioni euroscettiche in Grecia e altrove (primi candidati Olanda e Finlandia).
Già l’Europa non è più quella di tre-quattro mesi fa. Semestre europeo, ‘fiscal compact’, Euro-plus, procedure per deficit eccessivo, regola del ‘ventesimo’ per il debito, allarme preventivo: sono tutti termini che al cittadino comune dicono poco, invece sono i tanti paletti in cui si condensa il nuovo regime dell’unione monetaria, la nuova ‘way of life’ sotto l’euro dopo la grande crisi. E’ l’era della stretta e costante supervisione europea sulle politiche economiche, ancora più stretta e permanente per i paesi con le finanze traballanti, considerati dai mercati l’untore del momento.
Gli stati dell’unione monetaria stanno perdendo sempre più sovranità esclusiva sugli affari economici, che costituiscono il cuore del patto che lega i cittadini al proprio stato. Per cui anche nei palazzi del potere europeo nella capitale belga (Commissione, Consiglio e Parlamento) ci si comincia a rendere conto che si stanno toccando i limiti di quello che un anonimo diplomatico coinvolto nelle discussioni politiche ad alto livello chiama “gestione tecnocratica della crisi”. Il fatto che gli stessi analisti di mercato dedichino sempre più spazio alla dimensione politica della crisi greca e dell’Eurozona indica che non si tratta di preoccupazioni isolate.
Secondo alcuni sarebbe necessario un intervento più visibile dell’Europarlamento, il luogo naturale dell’Unione in cui si dibatte e si fa politica (nel senso che si legifera). Un passo è stato fatto: tra qualche giorno i rappresentanti della Troika (Commissione-Bce-Fmi) si sottoporranno al botta e risposta con i deputati. Un'altra occasione è che l’Europarlamento sfrutti fino in fondo la possibilità di chiamare i ministri del Tesoro a discutere le loro scelte. Tanto per dire chi predica bene e razzola male: sono stati i governi a non accettare che i ministri fossero obbligati ad andarci.