A metà della curva. E’ questa per il momento la posizione dei responsabili politici europei. Tutti vorrebbero averla superata, ma ancora siamo immersi nel pantano di una crisi che non è solo Grecia, non è solo debito sovrano di cui non ci si fida più, non è solo banche senza una base adeguata di capitale ma è tutte queste cose insieme più un drammatico deficit di decisione politica collettiva, che per paesi che usano la stessa moneta non è il massimo cui aspirare ma il minimo da garantire. Finora i governi sono rimasti dietro la curva, prima a guardare quanto stava accadendo (è del 2005 il primo allarme inascoltato di Bruxelles sui conti pubblici greci poi rivelatisi falsi, erano gli anni in cui l’abbellimento era stato targato nientemeno che Goldman Sachs), poi man mano che la crisi incalzava hanno rincorso gli eventi. Adesso è generalizzata la consapevolezza che la crisi è già sistemica, ha prodotto effetti nefasti per l’Eurozona e per i paesi europei che non ne fanno parte, per gli Stati Uniti che temono l’accelerazione del rallentamento globale, la Cina che esporta meno.
Tutti i governi sanno che devono fare sul serio e fornire risposte definitive: sulla ricapitalizzazione delle banche (quali, come, con quali obiettivi e parametri, sulle spalle di chi) e la totale trasparenza sui loro asset (valutazione realistica del valore dei titoli pubblici detenuti); sul debito greco (ristrutturazione ordinata con quale grado di partecipazione dei privati, con quale riduzione del valore nominali dei titoli ellenici da convertire in titoli a scadenza più lunga); sulla supervisione speciale per i paesi fortemente indebitati, non solo Grecia, Irlanda e Portogallo. Più un’altra cosa: misure convincenti per impedire una stagnazione economica perché senza crescita i debiti non si pagano. I mercati brindano perché i governi stanno assumendo impegni che non potranno rinnegare, ma se tutti gli elementi di questo ‘puzzle’ non si fonderanno rapidamente un avvitamento della crisi è scontato.