E’ ormai una lotta contro il tempo. Sul fatto che debbano scattare quanto prima nuove misure per rafforzare il capitale di molte banche europee, ben oltre quelle che vennero bocciate allo stress test o che passarono con il 6 scarso (in tutto sono 25), nessuno ha più dubbi. Oltretutto, mentre continua il declassamento della valutazione di decina di istituti di credito (ultime le principali banche portoghesi e dodici britanniche da parte di Moodyh’s) i mercati ci stanno scommettendo, deluderli sarebbe suicida. Incerto è solo il quanto (misura e modalità dell’intervento sul patrimonio) e il quando. Secondo qualche fonte europea nelle discussioni in corso tra i governi e le autorità di sorveglianza cominciano a circolare pure delle cifre, potrebbe trattarsi complessivamente di una operazione da circa cento miliardi di euro (il Fondo monetario internazionale aveva indicato giusto qualche giorno fa una necessità fra i 100 e i 200 miliardi).
Il commissario europeo agli affari economici e monetari Olli Rehn ha confermato che si sta discutendo anche la possibilità di anticipare la creazione dell’Esm, European Stability Fund, destinato a prendere l’eredità dell’attuale Efsf, European Financial Stability Facility, l’organismo che raccoglie capitali sul mercato con tripla A e poi li presta a Grecia, Irlanda e Portogallo. E’ un’idea, attribuita alla Germania, che circola già da qualche tempo e sotto la pressione dei mercati ha riguadagnato immediatamente quota. La differenza tra l’Efsf e l’Esm è sostanziale per due motivi. Il primo riguarda i mezzi a disposizione: capacità di prestito fino a 500 miliardi (l’Efsf arriva fino a 440 miliardi) a fronte di un capitale autorizzato di 700 miliardi più un capitale iniziale versato di 80 miliardi con versamenti diluiti in cinque anni e l’impegno a mantenere un minimo di 15% di ratio tra capitale versato e totale delle emissioni in essere. Non è granché se dovesse far fronte a operazioni simultanee: prestiti a paesi medio-grandi dell’Eurozona, acquisto di titoli pubblici sul mercato primario e secondario, sostegno alle ricapitalizzazioni bancarie. Una tale concatenazione di eventi simultanei si fonda, però, sull’assenza totale di altri soggetti che pure esistono: Bce, innanzitutto, i governi.
Il secondo motivo è altrettanto importante e ha a che vedere con il coinvolgimento diretto delle banche alla ristrutturazione del debito sovrano: da luglio 2013 tutti i nuovi titoli emessi dai governi Eurozona con scadenza superiore all’anno conterranno una clausola di azione collettiva che renderà possibile ciò che oggi è soltanto volontario (vedi l’operazione che sarà fatta sul debito sovrano greco con un “haircut” del 21% sul valore nominale dei titoli detenuti). Anticipare la partenza dell’Esm significa, almeno in teoria, prepararsi anticipatamente alla ristrutturazione del debito dei paesi a rischio fallimento.
Le pressioni dell’ultimo periodo sia dei mercati che politiche (non passa giorno che all’Eurozona arriva un monito ad agire da Oltreatlantico) hanno costretto i governi ad accelerare. Entro una decina di giorni dovrà essere trovato un accordo sia sui modi per permettere all’Efsf di usare appieno le sue potenzialità garantendogli un effetto leva sui mercati in modo da moltiplicarne l’operatività, sia sul programma di ricapitalizzazioni bancarie di cui parleranno i capi di stato e di governo della Ue il 17 e il 18 ottobre a Bruxelles. Per quella data l’Autorità bancaria europea avrà fornito ai governi tutti i dati sulla situazione patrimoniale delle banche, tenendo conto del valore effettivo dei titoli del debito sovrano detenuti, e le valutazioni tecniche sulle necessità di capitalizzazione. In questi giorni si è parlato molto di coordinamento dell’azione sulle banche e su questo tutti i governi sono d’accordo. Da un lato ci sono le regole antitrust sugli aiuti di stato da rispettare, dall’altro lato è necessario trovare un accordo sul percorso da seguire. Subito è emerso un contrasto tra Francia e Germania: la prima a favore di un intervento europeo attraverso l’Efsf per non rischiare di perdere la tripla A, la seconda (spalleggiata da Olanda e Finlandia) per il ricorso in primo luogo al mercato, se questo non è possibile tocca agli stati prendersi carico delle ricapitalizzazioni, in terza battuta entra in gioco l’Efsf con i prestiti ai governi. Tutto indica che sarà questo lo schema di gioco i cui paletti sono fissati tra l’altro negli accordi sul Fondo salva-stati.
Resta da notare come l’Eurozona non riesca a uscire dalla sindrome della rincorsa: un mese fa il Fmi aveva dato l’allarme sulle difficoltà delle banche europee e cominciato a premere per le ricapitalizzazioni, a Bruxelles e in molte capitali europee i responsabili politici avevano reagito con stizza.