“Non aspettiamoci che gli spread sui titoli si calmino d’incanto, ma non lasciamoci prendere dal pessimismo se ci saranno altri scossoni sui mercati”. Con queste parole un alto funzionario europeo, direttamente coinvolto nei negoziati tra i governi e con le banche per mettere in piedi l’operazione debito a sostegno della Grecia, ha sintetizzato la situazione che si profila nelle prossime settimane dopo l’accordo tra i governi Eurozona e il settore finanziario. Non sarà facile pilotare la barca, ma almeno ci sono enormi ciambelle di salvataggio con cifre che ormai arrivano non molto lontano dal valore assoluto dell’intero debito greco fra prestiti vecchio e nuovo, ‘taglio’ del valore dei titoli greci scambiati con altri titoli a scadenza più lunga, entrate da privatizzazioni.
Non sarà comunque facile perché ci sono di mezzo le agenzie di rating (Fitch è già partita) che cominciano a segnalare nervosismo: per loro l’intervento dei privati fa precipitare la Grecia in una situazione di ‘default’, di fallimento parziale, nell’impossibilità di pagare certe classi di titoli (per questo parziale o selettivo). Precipitare però non è il termine giusto: se si precipita è difficile risalire. Nel caso del ‘default’ parziale i tecnici spiegano che si tratterà di un evento rapidissimo: si apre e si chiude, lo Stato greco fa una offerta ai privati su certi titoli in scadenza, questi accettano, si può chiudere anche nel giro di qualche ora. Detto fatto, un lampo. Le cose potrebbero andare storte se da quel lampo partissero ben altri lampi e tuoni sui mercati e montasse l’effetto contagio, ma il congegno predisposto dai governi con il consenso di tutti, dalla Bce alle grandi banche e società di assicurazioni di taglia internazionale, viene giudicato a prova di bomba, in grado di fronteggiare ed evitare tensioni sull’Italia e sulla Spagna, che nell’ultimo periodo hanno fatto tremare tutta l’Eurozona.
In queste ore passa sotto silenzio la novità in oltre mezzo secolo che un paese sviluppato si troverà in ‘default’ per quanto lampo. A parte l’ironia della sorte: gli storici indicano che il primo default pubblico di cui si ha notizia si è verificato proprio in Grecia nel IV secolo avanti Cristo, quando dieci città decisero di non pagare il proprio debito con il tempio di Delo.
Sono due comunque le novità politiche delle decisioni dei governi Eurozona. La prima riguarda ovviamente la Grecia: può intravvedere un futuro meno nero anche se far fronte ai debiti non sarà socialmente facile, ma almeno avrà fiato. C’è voluto oltre un anno, è stata necessaria una catena di salvataggi a ripetizione di cui uno fallito (la Grecia) e due in corso d’opera che promettono molto meglio (Irlanda soprattutto, poi il Portogallo), tortuosi negoziati, clamorose marce indietro, traccheggiamenti politici (sotto accusa la cancelliera tedesca Angela Merkel per il suo europeismo a bassa intensità), ma alla fine le decisioni giuste sono state prese.
La seconda novità è il senso di marcia scelto: lo si riconosca o no, il Fondo salva-stati (European Financial Stability Facility), l’organismo che raccoglie soldi sul mercato e li presta ai paesi da salvare, diventa il perno di un ‘federalismo finanziario’ che non agisce solo a crisi scoppiate, ma può agire anche per evitare che scoppino. La possibilità di acquistare titoli pubblici sul mercato secondario e non solo sul primario (cioè al momento dell’emissione) per evitare un contagio finanziario significa questo. E così la possibilità di finanziare i governi per ricapitalizzare le istituzioni finanziarie sia nei paesi sotto salvataggio sia negli altri. Ecco una difesa (backstop in inglese) con i fiocchi.
Il Fondo salva-stati diventa un’agenzia europea per emettere debito che serve a singoli paesi. E’ chiaro che tutto questo potrà portare a scenari oggi invisi ai più (alla Germania per esempio), ma accarezzati da molti, tra cui una condivisione europea di una parte del debito (i famosi Eurobond). Perlomeno viene completato un quadro: l’Europa ha una supervisione finanziaria più centralizzata e in grado (almeno sulla carta) di fronteggiare crisi sistemiche, una supervisione sulle politiche di bilancio ed economiche che via via acquisirà un peso sempre maggiore nell’Eurozona subordinando le scelte nazionali sui bilanci e adesso ha anche uno strumento finanziario permanente, l’Efsf appunto, per condividere i salvataggi degli Stati.