Prima gli stress test poi si vedrà. E’ questa l’indicazione dell’Ecofin sulle misure per tassare il settore finanziario allo scopo di assicurare la partecipazione dei privati ai costi delle crisi incentivandoli a contenere il rischio sistemico. Che i tempi fossero lunghi lo si sa da molto tempo, basti pensare che questo ‘cantiere’ è stato aperto dai governi europei un anno fa (per l’esattezza in giugno) e ancora sul tavolo non c’è gran che. Già allora, viste le divisioni tra i governi, le divisioni tra l’Europa e gli altri grandi azionisti del G20 e le forti opposizioni delle banche, il percorso disegnato era lentissimo.
Nell’ultima riunione a Bruxelles dei ministri finanziari la Commissione europea ha confermato che presenterà la valutazione di impatto sulle banche e sull’economia (cioè sull’effettiva capacità di credito) prima della pausa estiva. In settembre sarà la volta delle proposte per istituire un regime Ue di risoluzione delle crisi delle banche (in sostanza si tratta di una serie di principi da applicare su base nazionale per rendere prevedibile la gestione ordinata del fallimento delle banche travolte dalla crisi). Ciò però non implica affatto una accelerazione, piuttosto implica il contrario e per almeno tre motivi. Il primo è che ogni decisione che riguarda le banche è ferma in attesa di vedere come va a finire lo stress test i cui risultati saranno noti nella seconda metà di giugno. Nessuno si immagina uno scenari catastrofici, ma dato che dovranno essere sostenute con i soldi del mercato, o con i soldi pubblici là dove il mercato risulterà assente, sia le banche che avranno un Tier 1 sotto il 5% sia quelle che lo superano ma ne restano vicino, la prudenza è massima (il Tier 1 è il coefficiente patrimoniale che viene utilizzato come indicatore fondamentale della patrimonializzazione delle banche). Il secondo motivo ha a che vedere con le regole di Basilea III sui requisiti di capitale che devono essere attuate in modo da contenere l’impatto negativo sulla capacità di prestito a imprese e famiglie. Il terzo motivo è legato alla crisi del debito sovrano: la situazione dei bilanci bancari cambierà a seconda della soluzione che sarà trovata per la Grecia, fattore ad altissima incertezza, vista l’esposizione delle banche europee verso i paesi della periferia Eurozona sotto il tiro dei mercati.
La situazione è complicata dalle divergenze esistenti tra i paesi sulla scelta di introdurre una imposizione fiscale o un prelievo sulle istituzioni finanziarie. In linea generale, i governi concordano su tale prospettiva, ma non è stata fissata alcuna scadenza. Finora solo dieci stati prevedono intervento di questo tipo: Germania, Regno Unito, Francia, Lettonia, Svezia, Portogallo, Danimarca (regime di risoluzione connesso al sistema di garanzia dei depositi finanziato da un prelievo ex post sulle banche), Austria, Ungheria e Cipro. I parametri, dalla base di prelievo al tasso alla dimensione, variano in modo considerevole. Il Belgio ha introdotto un prelievo, ma non per contribuire a un fondo di risoluzione. Slovacchia, Polonia, Irlanda e Slovenia li stanno introducendo, l’Olanda aspetta che sia chiarito il quadro di coordinamento europeo, Lituania, Lussemburgo, Estonia, Romania e Bulgaria vogliono valutare l’impatto delle altre misure di regolazione sul credito o quando ci saranno le regole europee per i fondi di risoluzione. L’Italia è contraria e al massimo, è scritto in un documento riservato del Comitato Ecfin, “considererebbe un rimaneggiamento delle attuali imposizioni non l’introduzione di nuove tasse, considerato il carico fiscale già elevato sul settore”. La Grecia deciderà nel 2013 quando scadrà la tassa sulle società ad alto profitto. Malta e Repubblica Ceca non faranno nulla.
Sulla tassazione delle transazioni finanziari il percorso è ancora più lento, anzi per la verità, il percorso è stanzialmente bloccato: aldilà dell’analisi di impatto della Commissione, non se ne farà nulla se una decisione in questo senso non sarà presa dal G20, evento che per ora nessuno si aspetta.