Uno a uno. Può essere totalizzato così il punteggio della prima partita (politica) ingaggiata per conto e nel nome dell’eurobond. Sul tavolo c’è il secco no tedesco, confortato dal no francese (anche se con toni più cauti), c’è la bocca storta di vari governi a cominciare da quello olandese e da quelli del ‘fronte’ del nord (Svezia e Finlandia, innanzitutto). Ma ci sono anche dei sì, come quelli di Grecia, Spagna e Portogallo i cui capi di governo, hanno indicato da fonti diplomatiche europee, avrebbero voluto scrivere addirittura una lettera comune per appoggiare il duo Juncker-Tremonti, che a fine novembre hanno rilanciato l’idea di creare una Agenzia europea del debito per emettere titoli pubblici ‘euro’ in sostituzione di una parte del debito pubblico nazionale in scadenza. Una lettera a tre è la classica iniziativa che dà respiro a una buona idea, se non fosse che l’atmosfera politica in grado di accoglierla positivamente non c’è. E’ toccato quindi all’ultramoderato Josè Barroso, presidente della Commissione europea, convincere i tre leader (cosa che è stata peraltro molto facile) che è meglio non tirare la corda adesso e lasciare che l’argomento bolla in pentola ancora un po’ prima di costruire delle iniziative politiche a livello europeo.
Grecia, Spagna e Portogallo non ne hanno fatto un dramma. D’altra parte si tratta di paesi il cui peso politico oggi è fortemente indebolito a causa della crisi che li ha travolti e costretti a subire controlli e rampogne che mai si sarebbero sognati di accettare in tempi normali. Una proposta come quella degli eurobond partirebbe male se fosse sponsorizzata soltanto da paesi oggi sul filo del rasoio, uno dei quali (la Grecia) sotto commissariamento e un altro (il Portogallo) a rischio di esserlo. La condivisione del debito pubblico tra i paesi Eurozona implicherebbe una rivoluzione copernicana dato che si tratta di rendere comune (comunitarizzare, recita la neolingua delle istituzioni europee) ciò che oggi comune non è e che probabilmente anche secondo le norme del Trattato non potrebbe essere. Non solo: implicherebbe l’esistenza di una fiducia consolidata tra i partner dell’euro sulla capacità di tutti di raggiungere velocemente posizioni di bilancio prossime all’equilibrio e di mantenerle nel tempo (in condizioni economiche normali), una convergenza economica e fiscale. Tutto ciò oggi non esiste.
Detto questo, l’idea dell’eurobond non si è arenata. Silvio Berlusconi e Jean Claude Juncker hanno chiesto alla Ue e alla Commissione europea di realizzare uno studio di fattibilità. E’ quantomeno l’avvio di un processo e gli storici degli affari comunitari ricordano sempre come i grandi progetti europei siano nati proprio in questo modo: dal rapporto tecnico e dalle analisi di impatto sul mercato obbligazionario, sui tassi di interesse dei titoli comuni emessi e sulle conseguenze su emissioni e tassi dei titoli del debito pubblico nazionale, a primi elementi di valutazione tecnico-politica il passo può essere breve. Se son rose fioriranno, è stato il messaggio del presidente Ue Herman Van Rompuy. Le buone idee devono avere tempo per maturare in condizioni politiche favorevoli, ha detto Josè Barroso. E vero che Angela Merkel non ha mollato di un centimetro: la cancelliera tedesca ritiene che si tratti di una proposta irrealistica e anche pericolosa perchè devia l’attenzione dalla necessità di concentrarsi sul consolidamento dei bilanci pubblici (di cui sono responsabili governi e parlamenti nazionali). Inoltre, la condivisione del debito pubblico nell’Eurozona eliminerebbe un potente fattore di concorrenza tra i paesi membri a favore di chi riesce a ottenere un premio di rischio più basso e potrebbe comportare un aumento dei tassi di interesse sulle emissioni nazionali.
Il ragionamento di Sarkozy è un po’ diverso: ritiene il lancio di eurobond prematuro dal momento che “prima” occorrerebbe compiere progressi nella convergenza delle economie e delle politiche fiscali. Senza convergenza il progetto non ha senso. All’Eurozona non resta che seguire la strada recentemente intrapresa da Francia e Germania che si sono posti l’obiettivo di far convergere i rispettivi sistemi fiscali. Nella visione francese, la ‘comunitarizzazione’ di una parte dei debiti pubblici nazionali puo’ essere la conclusione di un processo di convergenza e coordinamento politico (delle politiche economiche e delle politiche fiscali) sempre più stretto, mentre nella visione Juncker-Tremonti appare più come una leva che (inevitabilmente) rende possibile una sempre maggiore integrazione politica. Nella visione tedesca non c’è spazio né per una opzione né per l’altra. E’ interessante notare come la Francia cerchi spasmodicamente di estendere al campo europeo l’idea di una convergenza delle politiche fiscali, cantiere appena aperto con la Germania di cui in effetti non si sa molto. Nell’ultimo incontro bilaterale franco-tedesco i due governi hanno solo confermato l’auspicio di allineare le politiche fiscali e del lavoro tra i due paesi allo scopo di migliorare “la coerenza degli aspetti economici dell’Eurozona”. Dettagli niente, per una proposta seria occorre aspettare diversi mesi.