Mai la cancelliera Angela Merkel è stata tanto criticata in Europa o, meglio, dai paesi oggi sotto il tiro della sfiducia dei mercati e della speculazione (Grecia, Portogallo e Spagna) e da qualche ministro francese (a mezza bocca e mille cautele), dal premier lussemburghese Jean Claude Jucker, che guida pure l’Eurogruppo, dal presidente della Commissione europea José Barroso. Jean-Claude Trichet (Bce) non se l’è presa direttamente con lei, ma ha fatto varie ‘piazzate’ nelle ultime riunioni ufficiali e fin dalla riunione dei capi di stato e di governo di ottobre aveva detto chiaro e tondo che annunciare una ‘tosatura’ dei privati che detengono titoli pubblici nei momenti estremi di una crisi sarebbe stato un terribile boomerang. E cosi’ puntualmente è stato. Adesso la cancelliera o il ministro delle finanze Wolfgang Schaueble possono parlare della questione senza che i mercati si scatenino, ma è bene sapere che non si scatenano su questo argomento solo perché nessuno è sceso nei dettagli e perché ci sono ben altri bersagli. E’ il gioco dei dieci piccoli indiani cominciato con la Grecia e da proseguire con l’Irlanda, poi Portogallo, Spagna (qualcuno comincia anche a infilare nella lista il Belgio con un debito pubblico al 100% del pil e senza governo a 166 giorni dal voto)
L’intensità delle critiche, la sorpresa per il modo in cui Angela Merkel sta conducendo la partita europea della crisi è sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi giorni a Bruxelles si punta l’attenzione sulla “cacofonia” dei messaggi: la cancelliera che quasi rettifica sé stessa sul rischio euro; il governo che rettifica il banchiere centrale Axel Weber che ha evocato l’ipotesi di un rifinanziamento della ‘facility’ anti-crisi dell’Eurozona (quella dalla quale usciranno gli 85 miliardi di prestiti all’Irlanda); ancora Weber che considera pericoloso per la Bce aver continuato a inondare di liquidità il mercato; economisti consiglieri del governo tedesco che hanno auspicato l’uscita dall’euro dei paesi travolti dalla crisi finanziaria.
Ci si interroga ormai da mesi sulle effettive intenzioni della cancelliera, sul perché ancora non abbia capito che l’effetto di dichiarazioni a uso interno (per convincere i parlamentari a salvare prima la Grecia e adesso l’Irlanda) sui mercati internazionali spesso è devastante, sugli interessi economici in gioco (si punta a un’Eurozona sempre più ‘tedesca’ nella disciplina di bilancio). E’ rimasto, invece, in ombra un aspetto politico che ha già conseguenze molto rilevanti per l’economia, la regolazione della finanza in Europa: nel corso della gestione della crisi la cancelliera tedesca sta forgiando una nuovo concetto politico, un “nuovo metodo dell’Unione”. Tracce abbondanti di questa visione si trovano in un recente discorso di Angela Merkel al Collegio europeo di Bruges, il 2 novembre scorso, quasi un programma d’azione che vale la pena di rileggere. Questo il suo punto di partenza: è sbagliato pensare, come pensano alcuni rappresentanti dell’Europarlamento e della Commissione, che queste due istituzioni siano i “soli veri campioni del metodo comunitario”. Secondo: il metodo comunitario “non ha l’obiettivo di trasferire competenze a livello europeo, ma solo di assicurare che le competenze trasferite sono esercitate in modo appropriato ed efficace”. Terzo: il Consiglio (cioè i governi) “è parte del processo legislativo” e gli stati membri sono “elementi costitutivi dell’Unione non loro avversari”. Quarto: i tre soggetti dell’Unione europea, cioè Consiglio, Commissione e Parlamento devono agire “in modo coordinato” lasciandosi alle spalle vecchie rivalità. Ciò significa che una “posizione europea può arrivare non solo applicando il metodo comunitario, può arrivare applicando il metodo intergovernativo, importante è avere una posizione comune sulle questioni importanti”.
Che cosa significhi tutto questo è ben riflesso in molte scelte degli ultimi mesi, basti pensare alla regolare bocciatura da parte della Germania (e della maggioranza degli stati membri) delle proposte di assegnazione alle nuove autorità Ue di supervisione finanziaria di ampi poteri di intervento diretto sui gruppi vigilati (a detrimento delle prerogative dei regolatori nazionali o dei governi di decidere per esempio quando scatta una emergenza per la stabilità finanziaria generale). Oppure al negoziato sulle sanzioni semi-automatiche ai paesi che non rispettano gli impegni di bilancio: non era neppure cominciato il negoziato formale sulle proposte della Commissione europea per riformare il patto di stabilità, che la ‘task force’ dei ministri finanziari messa in piedi dal presidente Ue Herman Van Rompuy l’aveva già in parte smontata sotto impulso franco-tedesco con grande scorno della Commissione. E ancora al futuro meccanismo finanziario permanente anti-crisi sul quale c’è di nuovo la gara fra governi e Commissione su chi confeziona prima una proposta, con il ministro Schaeuble che va in giro per le capitali a discutere il documento tedesco. Il tutto condito con le geometrie degli “assi privilegiati” specie franco-tedesco e anglo-franco-tedesco.
In queste condizioni, il ruolo della Commissione sembra quasi ridotto a una specie di nobile segretariato con la conseguenza che anche le sue missioni fondamentali che hanno una valore giuridico-istituzionale, prima fra tutti la funzione antitrust, potrebbero indebolirsi.