Per pochi sarà un vertice di 'rifondazione' delle strategie economiche europee, per i più sarà inconcludente. Certamente la riunione dei capi di stato e di governo della Ue della prossima settimana (giovedì 11) sarà una prova del nove, l'occasione per verificare se l'Unione europea vorrà trarre davvero le giuste lezioni dalla crisi economica e finanziaria (oltreché dalla lunga paralisi politica che l'ha contraddistinta nel periodo pre-Trattato di Lisbona) oppure no. Il rischio che queste lezioni non siano tratte c'è e molto forte. Il primo rischio è che l'incontro tra i 27, trasferito nell'intima e accogliente Biblioteca Solvay dietro l'orrendo palazzo Justus Lipsius (sede del Consiglio dell'Unione europea) per dare al vertice un carattere informale con l'atmosfera del caminetto, parli di massimi sistemi ed eviti, almeno nella comunicazione esterna, di affrontare le questioni dell'emergenza. Queste sono chiare, perfino ovvie: la Ue ha una risposta convincente alla crisi di sfiducia sulla capacità di tenere sotto controllo i conti pubblici e trovare mezzi di finanziamento sul mercato che dalla Grecia si sta estendendo a Spagna e Portogallo? sarebbe in grado di aiutare un governo che non riuscisse a piazzare titoli di stato se non a prezzi stratosferici e con quali meccanismi accettabili per tutti sulla base delle norme comunitarie? è in grado di evitare che d'ora in poi altri paesi sfuggano alle larghe maglie della 'pressione politica' tra gentiluomini ('peer pressure' è il termine inglese che va per la maggiore nell'eurocratese) accettando preventivamente il confronto sulle scelte di bilancio e sulle scelte macro-economiche per evitare che si accumulino squilibri che poi possono condurre a rovesci di mercato (dai conti con l'estero ai divari di competitività e inflazione)?
Il secondo rischio è che il vertice, viste le premesse sulla base delle informazioni che circolano in queste ore, si concentri sulla riedizione della 'strategia di Lisbona', quella strategia lanciata nel 2000 che avrebbe dovuto fare dell'economia europea la più competitiva del mondo e invece è sostanzialmente fallita. L'unica idea nuova, dopo la bocciatura da parte tedesca dell'ipotesi spagnola di rendere minimamente vincolanti gli impegni per le riforme economiche assunte dai governi, sarebbe la pubblicazione periodica delle 'performance' dei paesi nei vari settori, dalla ricerca e sviluppo agli investimenti in educazione e formazione, alla qualificazione della spesa pubblica, ai tassi di occupazione e quant'altro. Così, mentre sulla Terra si scatena l'inferno (è la prima volta che l'avversione al rischio a causa dei problemi di indebitamento in Europa ha un effetto sui mercati globali), ci si occupa della Luna, anzi di un pezzetto di Luna.
Dalle capitali non ci sono messaggi che indichino la volontà di avviare una riflessione politica sulla questione centrale: è in grado la 'macchina' europea, in particolare l'Eurogruppo, di esercitare davvero una funzione di governo dell'economia (cioè delle politiche economiche) per evitare che gli errori di un paese ricadano sugli altri e fornire quel propellente politico che può rendere forte (nel senso di credibile), coesa, e dinamica (in relazione a Usa, Giappone, Cina eccetera) l'unione monetaria? Ha ragione Trichet a ricordare che nel 2010 l'Eurozona avrà un deficit pubblico pari al 6% del pil, molto più basso di quello americano che sarà al 10%. Per dire che nelle sale di contrattazione dovrebbero guardare i dati della realtà invece di alimentare la sfiducia. La verità mancante è che negli Usa la politica economica è unificata, da noi ogni paese marcia per conto proprio e spesso qualcuno marcia in direzione contraria a quella degli altri.
E' chiaro che toccare argomenti quali fisco, squilibri nei fattori di crescita, definizione concordate delle politiche di bilancio prima di decidere a livello nazionale, comporta una riduzione della sovranità di governi e parlamenti. Ma ci si dovrebbe cominciare a chiedere se non conviene accettarla prima che arrivi il momento in cui non ci sono alternative come accade oggi alla Grecia, paese oggi 'commissariato' dalla Ue come mai era capitato nell'Unione. Sarebbe necessaria anche una rivoluzione concettuale perché non ha alcun senso di considerare "esterna" la disciplina concordata a Bruxelles quando si tratta a pieno titolo di una disciplina "interna" semplicemente perché tutti usano la stessa moneta (nell'Eurozona) e si sottopongono alle stesse regole di un mercato che è "unico".