Perchè Vestager difende l’Antitrust su banche e acciaio

La Commissione europea difende la linea seguita sugli aiuti di Stato nei settore bancario e nella siderurgia. Lo spunto riguarda direttamente il caso italiano delle quattro banche attualmente in corso di risoluzione, con il coinvolgimento degli obbligazionisti junior, della gestione dei crediti in sofferenza, e riguarda anche il caso Ilva, con la decisione di oggi di aprire formalmente un’indagine approfondita per verificare se l’intervento di sostegno pubblico è compatibile con le norme europee o no. Nel caso delle banche la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager ha implicitamente indicato che non ci sono due pesi e due misure, una per la Germania e una per l’Italia. Negli anni della crisi finanziaria gli aiuti alle banche sono stati dati a condizione di riduzioni dell’attività degli istituti, ha detto. Sono gli Stati ad aver voluto che il peso delle crisi e dei fallimenti non ricadesse più sui contribuenti. Il caso Ilva è lo spunto per spiegare – ancora una volta – che “il rischio d’innescare una corsa alle sovvenzioni tra gli Stati membri” danneggerebbe tutti i paesi e l’insieme dell’industria europea.

La responsabile della Concorrenza europea non ha fornito nuovi elementi sulla questione bancaria italiana. Sulle quattro in via di risoluzione e sul problema degli obbligazionisti junior, ha evocato il problema del “misselling”, delle vendite di strumenti finanziari fraudolente. Sul regime di intervento per la gestione dei crediti in sofferenza, uno degli elementi che sta scuotendo i mercati in questi giorni, ha indicato nuovamente che la responsabilità è del governo italiano. Un accordo tra Bruxelles e Roma è atteso nei prossimi giorni. Anche ai piani alti della Commissione ci si rende conto che il disastro di Borsa in corso rischia di trasformarsi in una crisi di dimensioni più ampie.

Il settore bancario e il settore siderurgico potrebbero apparire sideralmente lontani, ma dal punto di vista della concorrenza non lo sono. La parità di condizioni nel mercato interno è una leva sulla quale tutti devono poter contare. Per il passato e per il futuro. Entrambi i settori fronteggiano una fase di transizione difficile. Nel caso dell’Ilva alla fine l’Antitrust europeo ha assunto una decisione molto prudente: ciò dimostra che non è poi così vero che a Bruxelles ci sono sempre e solo orecchie sorde. Ma il caso dello stabilimento di Taranto non è un caso locale, regionale, ha dimensione europee.

Ilva è il terzo produttore siderurgico dell’Unione europea, lo stabilimento di Taranto è il più grande d’Europa. Ciò che accade là ha una grande influenza altrove in una fase in cui il settore vive una crisi di sovraproduzione molto difficile (10-15% nel 2015), una concorrenza agguerrita concorrenza dei paesi che producono a basso costo, anch’essi caratterizzati da una considerevole sovracapacità (Cina in primo luogo), il calo della domanda globale.

La risposta europea è stata su due piani, ha ricordato oggi Margrethe Vestager: assicurare parità di condizioni sul piano globale attraverso gli strumenti di difesa commerciale. e assicurare parità di condizioni nell’Unione europea. “Questi due elementi dipendono l’uno dall’altro”, ha detto Vestager. Entrambi non vanno allentati. Se lo fossero, l’industria siderurgica europea ne farebbe le spese. Questa è la chiave per capire l’estrema prudenza comunitaria sul riconoscimento dello status di mercato alla Cina e l’estrema fermezza sugli aiuti di Stato alla produzione siderurgica interna.

La Commissione oggi ha ricordato con dovizia di particolare l’origine della strategia sugli aiuti di Stato, cominciando dal fatto che dalla metà degli anni ’90 non sono più permessi sostegni pubblici per soccorrere e ristrutturare le imprese in difficoltà: E’ stata una decisione, ecco il punto, presa con l’accordo di tutti gli Stati membri (Italia compresa). Tuttavia, le norme Ue consentono agli Stati membri di intervenire per migliorare la competitività delle acciaierie europee su scala mondiale, ad esempio per ricerca e sviluppo, formazione e sostegno alle attività ad alta intensità energetica. Questi sono “obiettivi di interesse comune” non meri sostegni aziendali.

Nello stesso tempo si è strutturata la difesa commerciale con misure antidumping e antisovvenzioni con cui vengono fronteggiate le distorsioni degli scambi

internazionali e dal commercio sleale. Attualmente sono 34 i provvedimenti definitivi applicati nella Ue alle importazioni di prodotti siderurgici, mentre per altri 6 prodotti siderurgici sono in corso nuove indagini antidumping o antisovvenzioni. Non è poco.

Anche nel settore bancario all’origine delle norme attuali sul ‘bail-in’ c’è la decisione degli Stati di uscire dalla logica del ‘too big to fail’ (banche troppo grandi per fallire) e del ‘paga Pantalone’, cioè lo Stato. E oggi Vestager non a caso lo ha ricordato, in sintonia perfetta con Jean Claude Juncker che ieri aveva segnalato come “anche i governi sono a Bruxelles”.

Negli anni della crisi finanziaria-bancaria, l’Italia appariva favorita e non ha dovuto sborsare un euro per garantire la stabilità del settore, al contrario di quanto hanno fatto una lunga serie di paesi: Germania, Belgio, Francia, Regno Unito, Olanda, Spagna, per citare le aree di crisi più drammatica. Oggi, invece, appare sfavorita: i crediti in sofferenza più o meno tollerati fino a ieri stanno diventando un fattore di grave incertezza. Va però ricordato che non aver dovuto salvare le banche in quegli anni è stata per l’Italia una doppia fortuna: era il periodo in cui maturava la crisi del debito sovrano e la congiunzione interventi pubblici per le banche e il rischio sugli spread sarebbe probabilmente stato midiciale. Tra parentesi, ecco un buon motivo per avere nel bilancio margini sufficienti per fronteggiare choc finanziari ed economici.

Nel frattempo le regole sugli aiuti di stato sono diventate più strette, ma ciò hanno voluto i governi europei per placare la giustificatissima ondata anti-banche. E’ un fatto che l’Italia ha perso la battaglia nel negoziato per scrivere le forme del ‘bail-in’, trovandosi totalmente isolata nella richiesta di coinvolgere gli obbligazionisti junior solo per le nuove emissioni. Non si è trattato di imperizia diplomatico, ma di un calcolo razionale: se l’Italia avesse sollevato pubblicamente il problema, ciò sarebbe stato facilmente interpretato come la necessità di turare qualche falla non dichiarata nel sistema bancario nazionale. Di qui il silenzio pubblico, allora, sulla questione.