E’ tempo di trarre una conseguente lezione politica della crisi greca e degli altri due paesi sotto perfusione europea e del Fondo monetario internazionale, Irlanda e Portogallo: con l’attuale profilo politico-istituzionale l’Eurozona non può reggere a lungo. Con un presidente che è poco più che un portavoce degli altri 16 ministri delle finanze. Senza uno staff degno di questo nome. Soprattutto, senza poteri effettivi a parte quello di rappresentanza e di definire l’agenda dei lavori. La moneta c’è e adesso alla moneta è stato affiancato un complesso marchingegno con il quale si cerca di vincolare più strettamente i governi alle decisioni comuni sulle politiche di bilancio da un lato, prevenire l’accumularsi di squilibri macro-economici dall’altro. E’ la cosiddetta ‘nuova governance’ economica che ha un’ambizione: garantire una supervisione delle politiche economiche e di bilancio a livello europeo evitando che la situazione vada fuori controllo e di dover elargire prestiti uno dopo l’altro quando c’è un rischio di ‘default’. E’ esattamente ciò che è accaduto dalla primavera dello scorso anno (aprile 2010 Grecia, novembre 2010 Irlanda, maggio 2011 Portogallo, giugno 2011 di nuovo la Grecia).
Della nuova ‘governance’ fa parte anche il meccanismo di intervento anti-crisi, che raccoglie soldi sul mercato emettendo bond con tripla A, presta materialmente i soldi ai paesi in difficoltà a tassi ridotti rispetto a quelli di mercato. Adesso si chiama Efsf, European financial stability facility, da metà 2013 si chiamerà Esm, European stability mechanism con due novità: capacità effettiva di prestito da 440 a 500 miliardi di euro, la sua entrata in funzione comporterà che tutti i bond emessi dagli stati a partire da luglio 2013 avranno una clausola di azione collettiva per facilitare accordi sulla ristrutturazione del debito. Anche questo un tabù caduto. Si aggiunga, infine, il ‘castello’ della supervisione finanziaria con le nuove autorità europee per Borse, banche, assicurazioni e quella che si occupa dei rischi sistemici guidata di diritto dal presidente Bce (oggi Jean-Claude Trichet domani Mario Draghi): la prima prova è fra un paio di settimane, nel momento in cui saranno resi noti i risultati dello stress test bancario.
Che cosa manca a questo complesso sistema, perfetto sulla carta ma che potrebbe risultare piuttosto aggrovigliato, con procedure che potranno facilmente accavallarsi o risultare ridondanti e di conseguenza “illeggibili” (l’avvertenza di questo rischio è dell’economista Jean Pisani-Ferry, direttore del ‘think tank’ europeo Bruegel)? La risposta in due parole l’ha fornita il presidente della Bce Trichet: un ministero delle finanze dell’Eurozona. Da anni si dibatte sulla “solitudine” del banchiere centrale e da anni lo stesso Trichet ricorda come non sia colpa della Bce se gli stati non hanno fornito una ‘gamba politica’ all’unione monetaria. Anzi, i governi hanno agito controvento, facendo di tutto per indebolire il patto di stabilità (con la prima riforma del 2005) salvo poi pentirsi dopo la crisi finanziaria (la Germania). L’idea di Trichet, una vera sfida per la politica europea, è questa: un ministero delle finanze europee che esercita responsabilità dirette nella sorveglianza sulle politiche di bilancio e di competitività, nel commissariamento dei paesi sottoposti a vigilanza speciale, nel settore finanziario integrato, nella rappresentanza internazionale dell’Eurozona.
Nella ‘fase 2’, dopo il salvataggio finanziario di paesi altrimenti destinati al fallimento, è l’autorità politica che deve assumersi la primaria responsabilità di stringere le maglie della gestione comune delle finanze pubbliche e dell’economia, di esercitare i poteri del “commissariamento”, non è più sufficiente la dimensione “informale” dell’Eurogruppo così come è oggi. Ciò è utile alla banca centrale perché questa ha tutto l’interesse a un interlocutore europeo forte e legittimato che si assume le responsabilità della guida delle politiche di bilancio e abbia gli strumenti per garantirne l’attuazione. Ed è utile anche ai governi, nel momento in cui siamo entrati pienamente nella ‘fase 2’, quando non basta più limitarsi alla dialettica classica, dice Trichet, tra sorveglianza, raccomandazioni e sanzioni (è il marchingegno della ‘governance’ appena costruito, ora soltanto ai primi passi ma che si avverte evidentemente già inadeguato).
La ‘fase 2’ è quella in cui viene limitata la sovranità nei paesi le cui mosse pongono a rischio l’Eurozona nel suo complesso o ne richiedono un intervento come finanziatore di ultima istanza. Il concetto di sovranità è già cambiato nel corso della crisi, dice Trichet, nel senso che tutti i governi si rendono conto che con l’interdipendenza hanno perso “la completa autorità interna”. Prima possono subire delle crisi di cui sono interamente responsabili altri paesi, poi devono pagarne il conto. D’ora in avanti, ecco il salto coraggioso da compiere, non solo deve essere possibile ma anche “obbligatorio” che le autorità europee, cioè il Consiglio sulla base di una proposta della Commissione in collegamento con la Bce, “prendano decisioni applicabili nella economia” sotto esame. Una ipotesi potrebbe essere quella di prevedere un diritto di veto su alcune decisioni economiche nazionali (le voci più importanti di spesa di bilancio e gli elementi fondamentali di politica economica che riguardano la competitività).
La Grecia si trova oggi in questa situazione, solo che la perdita di sovranità o il veto europeo non sono esplicitati, ma se Atene non privatizza rapidamente Europa e Fmi non sborsano né la quinta “tranche” del vecchio prestito né decideranno un nuovo prestito. Il risultato è lo stesso. I nuovi poteri di ‘commissariamento’ nella ‘fase 2’ sarebbe la logica conseguenza del ‘semestre’ europeo, con il confronto preventivo delle politiche di bilancio ed economiche a sostegno della crescita, prima che governi e parlamenti decidano misure e strategie. E’ un processo appena cominciato e martedì saranno pubblicate le raccomandazioni della Commissione europea sui programmi nazionali di riforma economica e di stabilità paese per paese.
La creazione del ministero delle finanze per l’Eurozona viene collocata da Trichet nel lungo termine, ma è noto come la crisi finanziaria abbia letteralmente sconvolto anche i calendari dei ‘policy maker’ per cui è molto probabile che il percorso possa essere molto più celere di quanto si pensi. D’altra parte, la mancanza della ‘gamba’ politica dell’Unione monetaria viene considerato anche dai mercati un forte elemento di debolezza. Purtroppo Trichet circoscrive tale prospettiva in un ambito ‘repressivo’, ritenendo che il ministero delle finanze non deve necessariamente amministrare un “ampio bilancio federale” ed è nota l’assoluta contrarietà della Bce all’emissione di Eurobond per condividere una parte del debito sovrano nazionale. Così, l’unione monetaria continuerebbe a non avere il pedale dell’acceleratore, ma solo quello del freno.