Settimane di accelerazione delle mosse politiche in Europa sulle vie da seguire e sugli strumenti da predisporre per evitare che l’allentamento delle tensioni sui mercati, il calendario politico tedesco (con il voto a settembre la cancelliera tedesca non vuole correre alcun rischio) e la nuova fase di applicazione flessibile delle regole sui deficit in mezza unione monetaria, facciano perdere lo slancio a riorganizzare e rafforzare l’Eurozona. Due vertici di capi di stato e di governo in un mese (il primo mercoledì), una riunione dell’Eurogruppo e forse anche un’altra riunione speciale dei ministri dedicata alle regole per i fallimenti bancari e la ricapitalizzazione diretta degli istituti di credito da parte del Esm (il Fondo salva-stati). Ora c’è l’affondo francese, con il rilancio del progetto di integrazione politica da parte di Francois Hollande, finora un tabù per la Francia, da sempre campione della difesa della sovranità nazionale. Con l’idea di un governo economico dell’Euro che si riunisce tutti i mesi con un presidente a tempo pieno. Qualche stupore e anche scetticismo: si tratta solo di tattica?
E’ difficile dire se si tratta solo di manovra politica alla vigilia di un vertice Ue di cui si parlera’ di politiche dell’energia e di lotta all’evasione fiscale su scala europea e internazionale, mentre alla riunione di giugno si dovrebbe discutere e decidere di misure a favore del lavoro ai giovani, per ancora tutte da definire a parte l’idea di anticipare i finanziamenti europei per 6 miliardi di euro previsti per il periodo 2014-2020 (fanno parte però di un bilancio pluriennale che ancora non è stato approvato). E’ certo che l’attesa sul vertice di mercoledì si sta svuotando. L’argomento energia è importantissimo, specialmente di fronte alla ‘rivoluzione’ degli Stati Uniti, dove la quota del gas non convenzionale prodotto (gas di scisto) è arrivata al 20% del totale ed è aperta la prospettiva dell’autosufficienza energetica. Lo svantaggio competitivo europeo rispetto agli Usa è impressionante: nel 2012 il prezzo del gas per l’industria americana è stato quattro volte più basso rispetto ai livelli sostenuti dall’industria europea. Non c’è accordo commerciale transatlantico che tenga, che possa compensare un tale divario. Purtroppo dalle conclusioni preparate per il Vertice non emerge che la Ue prenderà decisioni a breve.
L’altro tema del momento è il compromesso sui deficit pubblici: flessibilità sul tempo necessario per portarli sotto il 3% contro impegni seri, fondati, monitorati da Bruxelles. Riguarda Francia, Spagna, Portogallo, forse Slovenia, forse in futuro l’Olanda. L’Italia dovrebbe uscire a giugno dalla procedura per deficit eccessivo e guadagnare qualche margine per investimenti pubblici e misure per l’occupazione giovanile (forse anche sul terreno fiscale) con il limite, però, di mantenere il deficit/pil sotto il 3%. Un limite, questa la posizione di Commissione e maggioranza dell’Eurogruppo, che non può essere superato. Questo si dice oggi, se poi le condizioni dell’economia dovessero peggiorare si vedrà in seguito.
La questione dell’unione bancaria è ancora aperta: è molto probabile che entro un mese si troverà l’accordo sulla ripartizione degli oneri delle ristrutturazioni e fallimenti da far pagare ai creditori, sui poteri delle autorità nazionali di risoluzione. Ma sull’autorità unica e il Fondo di risoluzioni europei l’accordo non ci sarà e sarà difficile per la Commissione avanzare una proposta eccessivamente coraggiosa dopo il no tedesco a procedere in mancanza di modifiche del Trattato.
Nel frattempo la ripresa si allontana, la recessione si allunga nel tempo, in diversi paesi la stabilità dei governi è in forse. Che l’affondo di Hollande sull’unione politica dell’Eurozona abbia una componente tattica è indubbio, viste le critiche crescenti in Francia in queste settimana e viste anche le difficoltà nelle relazioni con Angela Merkel. Ma riflette una necessità: senza passi decisi verso una condivisione più strutturata della sovranità nell’Eurozona, democraticamente legittimata, l’unione monetaria sarà sempre debole. Non è un caso che in ambito tecnico a Bruxelles si discuta sempre più spesso del come in cui funziona l’Eurogruppo, sulla sua capacità di “guidare” effettivamente l’unione monetaria. C’è chi pensa, per esempio, che sia arrivato il momento di avere un presidente dell’Eurogruppo a tempo pieno e non “a singhiozzo”. Che essendo ministro nazionale in carica è soggetto al vaglio politico del parlamento del proprio paese. E’ appena stato nominato l’olandese Jereon Dijsselbloem, che ancora non convince (come ha dimostrato il caso del taglio sui depositi bancari a Cipro). Circola un nome, Pascal Lamy, francese, a breve ‘disoccupato’, una delle ‘teste’ più lucide di cui l’Europa disponga in questa fase. C’è un problema: Lamy non è ministro dell’economia in carica, dato che scade il 31 agosto alla direzione dell’Organizzazione mondiale del commercio. Non lo è mai stato (ma è stato tante altre cose, tra cui commissario Ue al commercio). Finora il presidente Eurogruppo è sempre stato un ministro finanziario in carica (per anni e anni il lussemburghese Jean-Claude Juncker e adesso Dijsselbloem). Difficile che non si rispetti la tradizione. E’ scritto in nel protocollo numero 14 al Trattato Ue: “I ministri degli Stati membri la cui moneta è l'euro eleggono un presidente per un periodo di due anni e mezzo, a maggioranza di tali Stati membri”. Non si può forzatamente escludere che possa essere un ‘esterno’. Certamente, un presidente Eurogruppo a tempo pieno rifletterebbe una novità politico-istituzionale di enorme importanza: sarebbe il segno di un ulteriore gradino verso una qualche forma di ulteriore unificazione politica. Cosa di cui per ora non c'è sentore.