Nel 2012 il dollaro pesava per il 29,7% nei pagamenti globali e l’euro per il 44%. Cinque anni dopo il dollaro pesava per il 39,9% e l’euro per il 35,7%. Non si può dire che nel 2012 gli Stati Uniti contassero meno nell’economia e nella politica mondiali rispetto a oggi, nè che allora l’Eurozona fosse considerata una potenza politica ed economica affermata. Tuttavia è chiaro che l’idea di Juncker di avviarsi a chiudere il suo mandato di presidente della Commissione europea (manca in ogni caso poco meno di un anno) rilanciando il ruolo della moneta unica nel gioco finanziario globale, è un fatto politico nuovo che riflette perfettamente il rischio che sta correndo l’Europa dopo la Brexit: di essere danneggiata dagli effetti sistemici finanziari e non solo commerciali del protezionismo di Donald Trump da un lato, dalla voglia cinese di sfidare la posizione del dollaro quanto dell’euro. Però, per incrementare l’uso dell’euro convincendo i ‘players’ di mercato (imprese, società finanziarie, banche) sarebbe necessaria una cosa che non c’è e non ci sarà per lungo tempo: una maggiore integrazione politica dell’Eurozona.
La raccomandazione della Commissione europea sul ruolo dell’euro non è vincolante, non costituisce un elemento delle legislazione. È un documento per indirizzare una discussione, per costringere governi, imprese e finanza europea ad affrontare il tema. D’altra parte, la Ue non intende decidere (nè può) per conto del mercato con quale valuta vanno condotte le transazioni. Però può creare le condizioni per rendere le operazioni in euro più sicure, più liquide, meno costose. Può spingere il mercato a certe scelte invece che ad altre. Per esempio con le regole sulle infrastrutture di mercato ha intrdotto l’obbligo di ‘clearing’ dei derivati che forniscono una assicurazione contro il rischio di tasso di interesse attraverso determinate piattaforme per ridurre il rischio sistemico: ciò ha creato mercati di ‘clearing’ più liquidi per I prodotti finanziari denominati in euro. Si può fare di più in questo campo.
Sul fatto che il costo dell’uso del dollaro in certe transazioni su petrolio, materie prime, e per i contratti tra aziende, sia inferiore all’uso dell’euro è fuori discussione. “È in parte la conseguenza del ruolo del dollaro come standard predominante grazie alla sua alta liquidità”, ammette la Commissione. La Brexit accelera la necessità di una riflessione sul ruolo dell’euro perchè alcune delle infrastrutture dei mercati finanziari globali si trovano a Londra (trading, ‘clearing’, regolamento dei pagamenti). Ma non c’è solo Londra di mezzo, c’è ben altro. C’è innanzitutto la svolta di Trump che sta facendo a pezzi il multilateralismo a suon di dazi e minacce. “Le recenti azioni unilaterali extraterritoriali (americane) come nel caso della reimposizione di sanzioni contro l’Iran, insieme alle recenti sfide al sistema di ‘governance’ internazionale fondato sulle regole, sono un campanello d’allarme per la sovranità economica e monetaria europea”. Quanto alla Cina se “il renminbi non è ancora una divisa internazionale che può sfidare la posizione di dollaro ed euro, il suo uso internazionale è un elemento importante dell’agenda di riforme cinesi e ciò è rafforzato dalla maggiore capacità degli importatori e degli esportatori cinesi di fare e accettare pagamenti nella loro valuta nazionale”. In sostanza, ci si avvia verso un sistema “diversificato e multipolare fondato su diverse valute globali”.
La Ue si concentra su tre settori principalmente: energia (petrolio, prodotti raffinati e gas), materie prime (metalli, minerali, prodotti di base agroalimentari) e settore manifatturiero dei trasporti. L’idea è sfruttare fino in fondo il potenziale che deriva dall’essere grande importatore. Ci saranno consultazioni dei ‘players’ di mercato e dei governi. Poi c’è l’aspetto dei mercati finanziari: un euro influente come valuta globale deve poggiare su un’ampia fornitura di asset di credito denominati in euro e sull’aumento dei contratti sui derivati coperti dagli obblighi di ‘clearing’. Aumentare le transazioni denominate in euro è un processo lungo e lento. Tra l’altro, il ruolo dell’euro è certo importante, dato che rappresenta un quinto delle reserve internazionali delle banche centrali estere (un valore che rappresenta una percentuali superiore a quella della zona euro in termini di prodotto interno lordo mondiale, pari al 12%). Tuttavia il peso del dollaro sulle riserve globali pesa per oltre il 60%. E sta di fatto che l’uso internazionale dell’euro non è mai tornato alla situazione precedente la crisi finanziaria: il volume delle emissioni estere di debito denominato in euro raggiunse il picco del 40% nel 2007 e ora si trova al 20%, grossomodo la quota del 1999.
Nel documento comunitario appare il termine “sovranità finanziaria dell’Eurozona”. Attualmente la Ue si trova in posizione di difesa sul piano globale e sul piano interno non riesce ad accelerare il cammino verso una maggiore integrazione politica almeno nel quadro dell’unione monetaria. Il peso europeo nella regolazione finanziaria internazionale, per la validità degli standard (prevenzione e gestione dei rischi, vigilanza) è indubbio, tuttavia l’unione bancaria e unione del mercato dei capitali non sono ancora complete. Juncker propone uno sforzo di immaginazione utile, però è difficile immaginare un ruolo più forte nel mondo della moneta unica con una configurazione politico-istituzionale dell’Eurozona incerta, sempre sull’orlo della fibrillazione. In ogni caso anche a Francoforte, l’idea di rafforzare il ruolo internazionale dell’euro non è più vista come una specie di eresia. Per la Bce, resta cruciale il completamento dell’unione economica e monetaria in tutti i suoi aspetti, come d’altra parte ritiene la Commissione europea. Ma del resto è utile parlarne quanto prima.