Non è solo la Commissione europea a essere convinta che sia necessaria una spinta all’economia finanziata da un maggiore attivismo di bilancio, in sostanza una ‘manovrona’ espansiva di 50 miliardi nella zona euro. Lo pensa anche l’Ocse, che raccomanda una politica finanziaria pubblica “più espansiva di quanto previsto attualmente” in un terzo degli Stati membri. Nel rapporto economico di novembre, l’Ocse scrive che alcuni grandi paesi tra cui la Germania “dovrebbero indebitarsi più di quanto previsto per aumentare l’investimento pubblico”. L’esistenza di uno “spazio di bilancio” in Italia, però, “appare incerto, limitato” se ci si focalizza sulla sostenibilità dell’indebitamento. Certamente, però, l’Italia beneficerebbe molto di un’espansione più forte della domanda interna della zona euro, lo spazio di azione nazionale andrebbe usato per sistemare i bilanci delle banche.
Il fatto che la Commissione europea non sia in solitudine a chiedere una decisione sulla cosiddetta ‘fiscal stance’ espansiva (cioè l’orientamento di politica di bilancio) dovrebbe confortare diversi governi (quello italiano in primo luogo, che molto scommette su questa prospettiva). Però si procede su un terreno assai accidentato. A Berlino non hanno apprezzato, e per Berlino si intende quantomeno il ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble, secondo il quale l’esecutivo europeo si sta muovendo al di fuori delle regole del Trattato che non prevedono, secondo lui, interventi pro-attivi di bilancio. Se ne parlerà diffusamente il 5 dicembre alla prossima riunione dell’Eurogruppo e le avvisaglie della discussione annunciano fuochi d’artificio.
L’Ocse è abbastanza precisa nelle indicazioni per una ‘policy’ ottimale, l’analisi è identica a quella della Commissione. A dieci anni dallo scoppio della crisi finanziaria l’economia globale resta nella “trappola della bassa crescita”, investimenti, produttività e salari crescono debolmente, le disuguaglianze aumentano. La politica monetaria è “sovraccaricata” di funzioni e ciò aumenta rischi finanziari e distorsioni. Negli ultimi anni le politiche di bilancio sono state centrate essenzialmente sull’equilibrio di bilancio e non “sulle conseguenze per la crescita, ciò ha prodotto debito più alto in rapporto al pil nel breve termine attraverso una caduta degli investimenti, del capitale umano e della produttività”.
Ecco la conclusione: “Un ripensamento sul modo di valutare l’orientamento delle politiche di bilancio è necessario particolarmente in un contesto in cui tassi di interesse sovrani molto bassi forniscono più margini di manovra”. Occorre decidere prima che sia troppo tardi perché la ‘fiscal stance’ dei bilanci anche in Europa per il 2017 è neutrale rispetto alla crescita, prima o poi la finestra di opportunità dei tassi vicino allo zero comincerà a chiudersi segnando la fase di avvio del ritiro di condizioni monetarie superespansive.
Lo spazio di bilancio, indica l’Ocse, dipende dalla situazione dei singoli stati. Un terzo dei paesi considerati dall’Ocse potrebbe sostenere uno stimolo espansivo: vale per la Germania che dovrebbe rafforzare gli investimenti pubblici innanzitutto, in parte per il Regno Unito che potrebbe così compensare l’impatto recessivo di Brexit. Lo spazio di manovra è superiore al 20% in sette paesi tra cui Germania e Regno Unito. In Francia e Italia la misura del margine di manovra è però “incerta”.
Analizzando le scelte di bilancio del 2017-2018 dei vari paesi, l’Ocse raccomanda per l’area euro politiche moderatamente più espansive in Germania, Lettonia, Estonia, neutrali in Austria, Finlandia, Olanda, Francia; moderatamente restrittive in Austria; in Italia e Polonia devono restare così come sono previste.
Nel caso dell’Italia l’Ocse segnala una priorità: le banche. Il contesto è che un terzo dei 35 membri Ocse e dei loro partner chiave fronteggia un problema nel settore bancario: ci sono istituti anche importanti con bilanci da sistemare. In successione per gravità, l’Ocse cita Cina, India e Russia. In Europa il tema riguarda “l’Italia in particolare”. “Nei paesi europei – ecco l’indicazione dell’Ocse – può essere preferibile usare lo spazio di bilancio per pulire i bilanci delle banche e optare per uno stimolo al livello della zona euro piuttosto che a livello nazionale per esempio attraverso l’emissione più massiccia di bond da parte della Banca europea degli investimenti”. La coincidenza con la proposta comunitaria è perfetta.
Che occuparsi di ‘fiscal stance’ sia un tema di ‘policy’ europea è fuori discussione. Della necessità di un confronto su questo parla da tempo Mario Draghi. Di un orientamento di bilancio per l’unione di bilancio “appropriato” della zona euro parla il rapporto dei 5 presidenti Ue sull’unione monetaria. E’ un concetto-obiettivo implicito nella supervisione su cui decide l’Eurogruppo. Non c’è peraltro una ragi0ne logica per occuparsi solo della parte ‘punitiva’ (il consolidamento delle finanze pubbliche) e non della parte ‘proattiva’ del bilancio quando è necessario e possibile.
Juncker non quantifica il contributo dei singoli paesi alla ‘manovrona’ per il semplice fatto che non vuole fornire argomenti agli oppositori (Germania). Però dai documenti pubblicati e dalle tabelle tecniche si capisce chiaramente che lo sforzo possibile in termini di maggiore spesa di bilancio arriverebbe dalla Germania e dall’Olanda. Un aumento addizionale di investimenti pubblici dell’1% in questi due paesi sostenuto per dieci anni potrebbe aumentare il pil nazionale rispettivamente dell’1,1% e dello 0,9%. A bocce ferme, il pil reale nella zona euro aumenterebbe dello 0,3-0,5% dopo un anno grazie agli effetti del commercio (più esportazioni verso Germania e Olanda) e al deprezzamento del cambio dell’euro (più esportazioni verso il resto del mondo). Questa la conclusione della Commissione: “L’impatto sulle finanze pubbliche in Germania e Olanda non è così sfavorevole come ci si potrebbe aspettare dato che una crescita maggiore farebbe aumentare le entrate fiscali”. Dopo 10 anni il debito tedesco sarebbe superiore di meno del 2% e poco di più il debito olandese.
La ‘svolta’ comunitaria sulla ‘fiscal stance’ aprirà forse nuovi scenari. Una delle ragioni per cui è arrivato subito il no di Schaeuble è il timore che si apre un dibattito serio sulla ‘golden rule’, cioè l’esclusione di alcune spese di investimento dalle regole di bilancio in una forma più forte di quella prevista delle clausole di flessibilità. Se ne discute apertamente all’Ocse, ma non a Bruxelles. Nel rapporto Ocse di novembre si afferma che “l’applicazione del patto di stabilità potrebbe essere modificato per permettere una ‘fiscal stance’ più favorevole alla crescita, per esempio escludendo la spesa netta per investimenti dalle regole di bilancio e più complessivamente definendo un approccio coerente per usare discrezionalità nella loro applicazione”. Si tratta di andare oltre la flessibilità. Due le opzioni: la prima è espandere l’attuale clausola per gli investimenti estendendola a tutte le forme di investimento in capitale fisico; la seconda è ampliare la nozione di riforme strutturali per le quali è già prevista una flessibilità temporanea. Insomma, il consiglio è procedere verso quella ‘golden rule’ che era stata rifiutata quando vennero negoziati i parametri di Maastricht.