La Commissione europea difende a spada tratta l’idea che il contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale sarebbe fortemente rafforzato da una ‘lista nera’ europea, che non sia soltanto la sommatoria delle ‘black list’ dei paesi che ce l’hanno e si fondi su una nozione comune di ‘paradiso fiscale’. Lo scandalo dei Panama Papers ha messo le ali ai piedi all’esecutivo guidato da Jean Claude Juncker. Entro sei mesi, questo l’impegno assunto dal responsabile degli affari fiscali Pierre Moscovici, “vogliamo definire una proposta concreta, vedrete che la lista unica dei paesi non cooperativi in materia fiscale funzionerà”. L’obiettivo è superare i limiti delle tante ‘black list’ senza un adeguato apparato di sanzioni.
Lo scorso giugno la Commissione aveva pubblicato una lista paneuropea in cui apparivano le trenta giurisdizioni considerate non cooperative dal punto di vista della trasparenza fiscale (il termine paradise fiscale non viene usato nella documentazione ufficiale). Vi apparivano solo le giurisdizioni che a loro volta apparivano nelle liste di almeno dieci Stati Ue. Naturalmente c’era Panama. A seguire: Andorra, Liechtenstein, Guernsey, Monaco, Mauritius, Liberia, Seychelles, Brunei, Hong Kong, Maldive, Isole Cook, Nauru, Niue, Isole Marshall, Vanuatu, Anguilla, Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Bermuda, Isole Vergini britanniche, Cayman, Grenada, Montserrat, St Vincent e Grenadines, St Kitts e Nevis, Turks e Caicos, Isole Vergini Usa.
Moscovici ritiene necessario andare oltre: “I Panama Papers ci obbligano ad agire, subito”, ha spiegato ai giornalisti indicando che una ‘black list’ unica europea viene considerato a Bruxelles un elemento non secondario nella scacchiera delle misure antievasione. “Quando abbiamo pubblicato l’elenco di quei trenta paesi non cooperativi sono stato subissato dalle telefonate provenienti da quegli stessi paesi: mi chiamavano allo scopo di uscire dalla lista: ciò dimostra che esiste un indubbio effetto reputazionale”. E’ la strategia del ‘name and shame’ (nome e vergogna) che viene sempre più condita con le incursioni degli agenti del fisco e dei giudici su scala internazionale. La linea del commissario francese è che “se la Ue farà blocco nei confronti dei paesi terzi ‘problematici’ la sua azione sarà più efficace che non il semplice mosaico delle politiche nazionali attuali”. Secondo vantaggio: costituirebbe un freno alle multinazionali che praticano la pianificazione fiscale aggressiva utilizzando “abusivamente” le asimmetrie esistenti tra i diversi sistemi nazionali.
La ‘black list’ europea viene considerata dalla Commissione “una soluzione di ultima istanza”: sarebbe uno strumento per gestire le relazioni con i ‘paradisi fiscali’, cioè le giurisdizioni che rifiutano di applicare gli standard internazionali di trasparenza fiscale, una volta falliti i tentativi di dialogo. Di qui le tre tappe del processo. La prima tappa prevede la selezione di un gruppo di paesi terzi che si ritiene debbano essere messi “sotto esame” sulla base di indicatori neutrali in grado di determinare il livello di rischio potenziale di fenomeni di evasione del sistema fiscale.
Nella seconda tappa entrano in gioco i governi: sulla base delle indicazioni dello ‘scoreboard’, dovranno decidere quali paesi terzi devono essere esaminati “formalmente” dall’Unione europea per verificare la rispondenza delle prassi fiscali con le norme di buona ‘governance’. E’ questa la fase del dialogo con le giurisdizioni, che potranno rispondere nel merito delle preoccupazioni sollevate e decidere se avviare o meno una cooperazione più stretta con la Ue.
Terza e ultima tappa, la ‘black list’. La Commissione farà una raccomandazione agli Stati membri della Ue con la proposta di inserirvi i paesi “non cooperativi”, con tutti gli argomenti relativi. La decisione finale sarà presa dagli Stati e la lista sarà riesaminata regolarmente. I paesi terzi avranno 12 mesi di tempo per rimediare ai problemi sollevati dalla Ue per non far parte della ‘black list’. L’obiettivo è che questa sia pubblicata entro l’inizio del 2019.
Ma c’è di più. Il commissario Moscovici, appunto perché convinto che una lista unica europea “senza denti” nasce semimorta, ha parlato di “approccio comune per sanzioni”. Nei primi documenti comunitari si fa esplicito riferimento alla possibilità di applicare “contromisure verso i paesi terzi iscritti nella ‘black list’ dell’Unione” con l’obiettivo di forzare (nei documenti si usa il termine “incentivare”) le giurisdizioni terze a mettersi in regola con gli standard Ocse, ma anche “di proteggere le basi di imposizione degli Stati membri della Ue”. Non è noto ancora il ventaglio delle opzioni su tali contromisure: la Commissione chiede che gli Stati Ue le definiscano prima della fine di quest’anno affinchè siano note nel momento in cui cominceranno i primi esami delle giurisdizioni sotto tiro.