Trasparenza, contrasto della pianificazione fiscale “aggressiva” delle società multinazionali, ruolo delle giurisdizioni ‘terze’ nell’era in cui lo smantellamento dei paradisi fiscali continua a essere nell’agenda politico-istituzionale al livello globale e progressivamente si assiste all’addio al segreto bancario. Ultimo in ordine di tempo quello di Andorra. Lunedì e martedì la commissione speciale dell’Europarlamento riapre i battenti: sfileranno uno dopo l’altro i rappresentanti di multinazionali del calibro di Apple, Google, Ikea, McDonalds, e rappresentanti di Guernsey e Jersey, Andorra, Liechtenstein e Monaco. Ogni anno nella Ue si perdono 50-70 miliardi a causa dell’evasione fiscale delle imprese, praticamente cinque volte la spesa per gestire i flussi di immigrazione nel 2015 e nel 2016.
Durante il primo mandato della commissione speciale dell’Europarlamento la maggior parte delle multinazionali (Amazon Uk, Amazon Sarl, Anheuser-Busch InBev, Fiat Crysler Automobiles, Hsbc Bank, Barclays, Coca-Cola, Facebook, Philip Morris, Walmart, Google, McDonald’s, Ikea, Walt Disney) aveva resistito all’operazione trasparenza rifiutando con vari argomenti di partecipare alle audizioni. C’era stato un vero e proprio braccio di ferro, con la minaccia da parte dei gruppi parlamentari di ritirare i cartellini di accesso al Parlamento concessi ai lobbyisti. Poi tutto è rientrato e, in linea generale, le società hanno dovuto fare buon viso al gioco non gradito. L’aria è davvero cambiata, il processo messo in moto a livello Ocse sembra inarrestabile.
Da un lato, il contrasto dell’evasione è una necessità per gli Stati a corto di entrate, in cerca di strumenti per rimpolpare una crescita economica asfittica. La Commissione europea calcola che nella Ue le imprese locali, quelle che non hanno una proiezione transfrontaliera, sostengono un carico impositivo più elevato del 3% rispetto a quello delle multinazionali. “L’equità fiscale non è solo un problema morale ma anche di efficienza economica”, ripete spesso il responsabile degli affari economici Pierre Moscovici.
Dall’altro lato, l’equità fiscale è uno degli elementi al quale l’elettorato è sempre più sensibile e di questi tempi sono pochi i governi che, dopo aver applicato difficili terapie sociali ed economiche per uscire dalla crisi finanziaria, riescono a resistere al vaglio del voto. Peraltro, anche ua crescita senza fiato non costituisce più una polizza assicurativa per mantenersi al potere, come sta insegnando il caso dell’Irlanda. Nel 2015 l’economia irlandese è cresciuta del 7,8% nel 2015 (9% nel quarto trimestre), cioè il tasso più alto dal 2001, e ciononostante tre settimane fa il premier Enda Kenny ha perso la maggioranza.
C’è un terzo fattore che sta giocando tutto il peso: l’azione dell’Antitrust europeo, che sta pizzicando via via molti dei principali protagonisti della pianificazione fiscale “aggressiva”. I protagonisti sono sia i gruppi multinazionali sia le amministrazioni fiscali che hanno concesso loro ricchissimi sconti sulle imposte. Fiat per gli accordi fiscali preventivi (tax rulings) con il Lussemburgo e Starbucks con l’Olanda sono state già ritenute colpevoli e dovranno restituire almeno 20 milioni di euro ciascuna, continuano le indagini su Apple in Irlanda, Amazon e McDonald’s in Lussemburgo.
Giusto un mese fa, l’Antitrust ha colpito il Belgio, il cui regime fiscale sugli utili in eccesso è stato giudicato illegale ai sensi delle norme Ue sugli aiuti di Stato. Il Belgio ha avvantaggiato almeno 35 multinazionali, prevalentemente europee, che adesso devono restituire le imposte non versate al Belgio. Il ‘ruling’ fiscale belga riduce la base imponibile delle società di una percentuale compresa tra il 50% e il 90%, scontando i cosiddetti utili in più che deriverebbero dall’essere parte di un gruppo multinazionale. Una disposizione contraria alla normale prassi prevista dalla normativa belga sulla tassazione societaria e dal cosiddetto “principio di libera concorrenza”, addirittura platealmente pubblicizzata con lo slogan “Only in Belgium”.
Solo le multinazionali potevano beneficiare di tale regime, mentre le società singole (che non fanno parte di un gruppo), attive solo in Belgio, non avevano diritto ad analoghi vantaggi. Il valore dello sgravio considerato illegale arriva, secondo l’Antitrust europeo, a circa 700 milioni di euro.
E ancora: nell’ultima riunione Ecofin, i ministri finanziari hanno raggiunto l’accordo politico sullo scambio automatico di informazioni finanziarie sui grandi gruppi transnazionali, attuando gli impegni firmati all’Ocse sul contrasto dell’erosione della base fiscale e del trasferimento dei profitti. Obiettivo: costringere le multinazionali a pagare le imposte nei paesi dove vengono effettivamente realizzati i profitti e non dove si riescono a strappare condizioni fiscali più convenienti.
Sull’accordo dovranno esprimersi il Parlamento europeo e il Parlamento britannico, ma tutti a Bruxelles danno per scontato che non ci saranno problemi (neppure a Londra sotto campagna pro/contro Brexit). Gli Stati avranno accesso a una serie di informazioni e potranno ricostruire un profilo fiscale completo delle multinazionali e dell’attività svolta nei singoli paesi. Ricavi, profitti, imposte pagate, capitale impiegato, asset tangibili, numero di occupati: tutto sarà ‘tracciato’.
I gruppi multinazionali saranno obbligati a sottoporre un rapporto annuale alle autorità fiscali di ciascun singolo stato membro dove hanno residenza fiscale già a partire dal 2016. Nel caso in cui una multinazionale non abbia residenza fiscale nell’Unione europea, il suo rapporto verrà sottoposto alle autorità fiscali attraverso le sue controllate con residenza fiscale nell’Ue. In quest’ultimo caso l’obbligatorietà partirà solo dal 2017.