I paesi in surplus di parte corrente con meno necessità di procedere al disindebitamento pubblico devono fare di più per sostenere la crescita nella zona euro. I paesi che crescono poco, hanno sistemi economici ‘frenanti’ e/o hanno margini scarsi nel bilancio, o non ce l’hanno del tutto, per sostenere di più l’economia, devono fare le riforme strutturali per creare condizioni favorevoli all’attività e alla creazione di nuovi posti di lavoro. E’ questa l’indicazione di politica economica, una specie di patto da rispettare, contenuta nel rapporto della Commissione Ue sugli squilibri macro-economici. I paesi in gioco sono la Germania da un lato (e l’Olanda), Italia e Francia dall’altro. Bruxelles accentua l’attenzione sulla Germania. Nel 2014 la media del surplus dei conti con l’estero dal 2012 era del 6,9%. Quest’anno sarà all’8,7%, l’anno prossimo all’8,6%. La soglia di equilibrio definita dalla Ue è il 6%.
Non contiene novità il rapporto comunitario sugli squilibri macroeconomici. Diciotto paesi dovranno essere sottoposti a esame per verificare se la loro posizione è migliorata o peggiorata. Nessun novità per l’Italia: a febbraio era stata giudicata un paese “con rischi macroeconomici eccessivi che richiedono interventi politici risoluti e un monitoraggio specifico“. Il prossimo febbraio, Bruxelles valuterà se sta meglio o sta peggio o si è stabilizzata nell’immobilismo economico (relativo s’intende) in una visione di medio periodo. E se ciò che hanno fatto governo e parlamento è sufficiente.
Su una scala di sei livelli del sistema di sorveglianza degli squilibri, l’Italia si trova in quinta posizione: se la situazione peggiora, nel senso che le autorità di un paese fanno poco o nulla per fronteggiare gli squilibri macroeconomici, scatta l’ultimo livello della procedura per cui la Commissione raccomanderebbe di predisporre e attuare delle misure correttive. In sostanza, si tratterebbe di un mezzo commissariamento come avviene per i deficit pubblici (però con effetti meno intensi, perché trattandosi di dinamiche macroeconomiche complesse il margine di discrezionalità e manovra è necessariamente molto ampio). A termine, in caso di palese inazione del governo, si entra in zona sanzioni, che possono arrivare allo 0,1% del pil.
Non siamo certo a questo punto. Nessuno, né l’Eurogruppo né la Commissione né certamente l’Italia, vuole arrivarci. Il rapporto di oggi ha il limite di fondarsi su dati 2014 (spesso riferendosi alla media triennale di alcuni indicatori economici dello ‘scoreaboard’), ma ha il pregio di mettere a punto i problemi di medio-lungo periodo cui sono di fronte gli Stati membri. Nel caso dell’Italia l’elenco – e la narrazione – dei punti deboli e degli squilibri non cambia sostanzialmente: alto debito pubblico, perdita di quote di mercato, posizione competitiva debole, disoccupazione elevata. Ai quali si aggiunge il peso dei crediti bancari in sofferenza che limita i vantaggi derivanti dall’inondazione di liquidità da parte della Bce.
Tale narrazione coesiste con la narrazione presentata pochi giorni fa dalla Commissione, quando ha valutato la legge di bilancio 2016 (opinione sostenuta anche dall’Eurogruppo): Bruxelles ha sempre riconosciuto la profondità e dell’ambizione delle misure economiche e di riforma italiane. In parte le ‘fotografie’ sono scattate su tempi diversi: lo ‘scoreboard’ degli squilibri guarda fino al 2014, la legge di stabilità si riferisce al 2016. Il quadro completo ci sarà solo in primavera: alla ‘fotografia’ sugli squilibri esistenti si affiancherà la fotografia/bozza di quello che potrebbe essere l’Italia successivamente (il programma di stabilità sarà presentato ad aprile). In parte, però, gli squilibri italiani sono di medio-lungo periodo e non svaniscono in poco tempo.
Nel rapporto di quest’anno la Commissione appare meno accondiscendente con la Germania, da anni ormai criticata in Europa, ma anche dagli Stati Uniti perché fa poco per la crescita della zona euro continuando ad accumulare surplus nei conti esterni.
Scrive la Commissione: “Il rischio di bassa crescita e bassa inflazione prolungate nella zona euro dovrebbe essere attenuato specialmente dai paesi che si trovano nelle condizioni migliori per aumentare gli investimenti coerentemente con lo spazio di bilancio disponibile. Questo è il caso di Germania e Olanda, il cui surplus di parte corrente è previsto restare elevato nei prossimi anni”. E ancora: “Una riduzione del surplus nei paesi con meno necessità di disindebitarsi migliorerebbe la domanda nella zona euro e controbilancerebbe i paesi ad alto debito che devono ridurlo e rafforzare simultaneamente la crescita”.
Ciò è tanto più necessario nel momento in cui le aree di esportazione tedesca (i paesi emergenti, Cina in primo luogo) rallentano la crescita.
Che cosa devono fare Italia e Francia? “Parallelamente devono proseguire e rafforzare le riforme strutturali per sbloccare il potenziale di crescita perché sono paesi di rilevanza sistemica”. In tal modo sosterrebbero la fiducia sulla loro stessa sostenibilità di bilancio. L’Italia fronteggerebbe meglio l’alto debito pubblico e l’alto livello di sofferenze bancarie.
Qui sta la vera sfida della zona euro. Nel rapporto ci si riferisce a una crescita debole, “anemica”. Si nota come la zona euro non riesca a trarre vantaggio dalla politica monetaria accomodante e da condizioni dei mercati finanziari “che restano complessivamente favorevoli”. Pesano i fondamentali economici deboli (tra cui l’assottigliamento della base manifatturiera, ma il rapporto non ne parla) e “l’intenso disindebitamento del settore privato che continua a pesare sulla domanda”, che si combina al disindebitamento negli altri settori dell’economia: Stato e famiglie. Il tutto avviene simultaneamente. Pensare che basti il piano Juncker da 315 miliardi di investimenti in stragrande maggioranza privati, è un sogno.