Sotto pressione come poche volte è avvenuto e sicuramente non ai primi passi di una nuova legislatura, la Commissione europea oggi ha ribadito che sul rafforzamento del contrasto all’evasione e alle frodi fiscali ‘fa sul serio’. A quanto si è capito la proposta legislativa per lo scambio automatico “e obbligatorio” delle informazioni sul ‘tax ruling’ (accordi anticipati tra Stati e imprese per la definizione del livello di tassazione) dovrebbe arrivare entro primavera. Bruxelles farà di tutto per sbloccare la direttiva sulla base comune fiscale per le imprese “ancora in fase di stagnazione”. Così, ha indicato il portavoce Margaritis Schinas, “vedremo chi segue e chi blocca” tra gli Stati membri. La pressione su Jean Claude Juncker per lo scandalo LuxLeaks ha modificato il piano di lavoro dei primi mesi, ora le priorità sono due: il piano per gli investimenti e l’affondo sugli aggiramenti fiscali, ma sul fisco si può agire solo all’unanimità e ciò complica notevolmente la partita.
La Commissione europea sta moltiplicando i messaggi di rassicurazione per reagire alle critiche al suo presidente sulle scelte del Granducato, che ha governato per 18 anni. La linea di difesa di Juncker non fa una grinza dal punto di vista legale, mentre dal punto di vista politico non si può non rilevarne l’elevato grado di ipocrisia (non sono l’architetto del modello lussemburghese, le autorità fiscali in Lussemburgo sono indipendenti, ha detto all’Europarlamento). In ogni caso gli sforzi della Commissione sono per allungare celermente il passo.
Entro l’anno dovrebbe passare all’Ecofin la direttiva sulle società madri-figlie per evitare l’aggiramento della tassazione. Poi sul tavolo c’è la direttiva per una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società di cui si discute dal 2011. Tale direttiva prevede specifiche norme anti-abusi. Oggi la Commissione ha annunciato che “la discussione in corso non ha prodotto molti risultato e non per colpa nostra, dobbiamo andare oltre”. Parallelamente viene aperto il cantiere dell’informazione automatica e obbligatoria sugli accordi tra amministrazioni fiscali e società (in genere multinazionali), gli stessi sui quali l’Antitrust europeo ha aperto quattro inchieste (tra cui quella sul Lussemburgo per Amazon e Fiat Finance and Trade) e sui quali ha chiesto delle informazioni al Belgio. “Vogliamo procedere più velocemente possibile e più lontano possibile”, ha detto il portavoce di Juncker. Non si sa se dopo la chiusura dei 4 casi, come procederà l’Antitrust se con inchieste a tappeto generalizzate o in altro modo.
Gli Stati che usano il modello ‘tax ruling’ sono 22 su 28 aveva indicato Juncker al Parlamento. La Commissione oggi ha rinviato domande specifiche sull’estensione di tali pratiche a un’analisi più approfondita. La trasparenza sugli accordi è il minimo comune denominatore, sulla falsariga di quanto accadrà (è già concordato) sull’automatismo delle informazioni fiscali che hanno fatto crollare il segreto bancario anche, alla fine, in Lussemburgo e nei cinque paesi terzi a partire dalla Svizzera. E’ un processo appena concluso costato anni di negoziati, fallimenti e ripartenze, nel corso dei quali il Lussemburgo ha agito sempre sul freno e non il contrario.
Juncker ha indicato che sarebbe necessario muoversi verso una maggiore armonizzazione fiscale, che è questione altamente sensibile se non la più sensibile per la sovranità nazionale (oltre alla difesa nazionale). Infatti sul fisco si decide all’unanimità. Le resistenze saranno forti anche se il fisco è un tema sul quale i governi vorrebbero stare in sintonia con le opinioni pubbliche. Così si spiega l’allarme del governo tedesco per il caso LuxLeaks: va notato che nessun capo di Stato e di governo ha sostenuto pubblicamente Juncker in questi giorni così come non lo ha criticato. Recentemente è emerso per esempio che oltre un terzo delle filiali estere delle cinque più grandi banche francesi è stabilito in paradisi fiscali. Secondo un rapporto appena pubblicato della ‘Piattaforma paradisi fiscali e giudiziari’ francese, sulla base dei dati di Tax Justice Network e Government Accountability Office , le cinque più grandi banche francesi hanno 578 filiali stabilite in paradisi fiscali dove realizzano il 27% per un totale di 13,7 miliardi. Tutto ciò dimostra come la strada per una maggiore armonizzazione sia tutta in salita, in un contesto politico del tutto sfavorevole a nuove tappe “integrazioniste” e che prevedono nuove condivisioni di sovranità.
A ciò si aggiunga il peso degli interessi del mondo delle imprese. “Il business europeo è favorevole a maggiore trasparenza sulle politiche fiscali, sosteniamo gli Stati membri e il G20 nel contrasto dell’evasione e delle frodi, ma l’Europa deve essere precisa in questo dibattito, abbiamo bisogno di certezza legale – ha indicato Markus Beyrer, dg di BusinessEurope (la ‘Confindustria’ europea – ndr) –. Dobbiamo rispettare la competenza degli Stati membri nella definizione delle loro politiche fiscali, l’importanza dell’attuale dialogo tra imprese e amministrazioni fiscali, che comporta molta chiarezza da parte di entrambi i soggetti, non deve essere compromessa”.
La Commissione cercherà questo fine settimana di imporre l’automatismo sulle informazioni sui ‘tax rulings’ nell’agenda del G20: l’assenza di un terreno comune di gioco globale è stato l’argomento principe di Lussemburgo, Austria (come della Svizzera) per difendere fino allo stremo il segreto bancario. Poi hanno dovuto ‘capitolare’ sotto il peso delle inchieste e delle multe americane.